differenza delle Amadriadi, erano immortali e avevano la possibilità di allontanarsi dal proprio albero. Le
Amadriadi, vivevano nel tronco degli alberi, quindi, il loro destino coincideva con quello della pianta,
ecco perché quando si rendeva necessario abbattere una quercia i sacerdoti dovevano prima compiere i
loro riti per allontanare le Driadi e salvare, così, almeno le loro vite. Anche dagli antichi romani, la
quercia, era considerata albero sacro, essendo consacrata a Giove, e, per questo motivo, simboleggiava il
potere e la sovranità. Le corone dei re di Roma, le corone dei vincitori, e dei cittadini che si erano distinti,
venivano intrecciate con foglie di quercia. Queste leggende mitologiche e usi ad esse legati portarono i
primi cristiani a considerare le querce alberi pagani; nel Medioevo, però, la quercia, per i cristiani,
divenne un simbolo di immortalità e di eternità.
Etimologia:
Il termine generico è il nome comune latino della querce in genere. Il termine specifico è il
nome comune di questa pianta.
28 Foglie verdi su entrambe le facce. Fiori con petali. Frutto carnoso
Arbutus unedo L.
Sinonimi:
Unedo edulis
Hoffm.;
Arbutus
vulgaris
Bub.
Area d'origine:
Bacino del Mediterraneo.
Miti e leggende:
Il Corbezzolo è un piccolo
albero sempreverde oppure, allo stato
spontaneo, un arbusto; i Greci e i Romani lo
piantavano vicino alle tombe oppure ne
intrecciavano i rametti elastici per realizzare i
graticci da usare come feretro. Virgilio,
nell'Eneide, racconta di quando la pianta di
Corbezzolo venne usata per preparare il letto
funebre di Pallante, compagno di Enea.
Infatti, secondo la leggenda, Turno, re dei
Rutuli, stava combattendo l'eroe troiano Enea
ed i Latini; mentre infuriava la battaglia sulle
rive del Tevere, il giovane Pallante, bello e ardito, cercò di ucciderlo. Turno, infuriato, scagliò la sua
arma che colpì al cuore il giovane ferendolo a morte. La salma di Pallante venne posta, dal padre
Evandro, in una tomba scavata nella roccia con una lampada sempre accesa. Chiusa la sepoltura vennero
piantati dei cespugli di corbezzolo, per celare la tomba e proteggere il riposo di Pallante. Secoli dopo i
barbari invasero le terre di Roma e, in cerca di tesori nascosti, strapparono i corbezzoli che coprivano
l'antica tomba violando la sepoltura. Si dice che trovando la lampada ancora accesa terrorizzati richiusero
la tomba e scapparono. I Romani affermano che l'antica lampada celata dal Corbezzolo continua ancora a
splendere nelle viscere del Colle Palatino come segno di vita della civiltà latina. La pianta di Corbezzolo
è stata considerata fin dall'antichità anche portafortuna, infatti, secondo un'antica leggenda romana
raccontata da Ovidio nei Fasti, il lattante Proca, erede al trono di Albalonga, fu assalito dalle Strigi,
mitologiche figure infernali che si nutrivano del sangue dei bambini, dal corpo di donna ricoperto da
penne bianche, dalla testa grossa con un becco da rapace e con artigli ad uncino. La nutrice per salvare il
bambino invocò Carna, dea protettrice dei bambini, che salvò Proca toccando l'uscio per tre volte con un
ramo di Corbezzolo e offrendo alle Strigi le viscere crude di una scrofa perchè se ne cibassero.
Etimologia:
Il termine generico ha un'antichissima derivazione dalle radici celtiche 'ar' = aspro, e 'butus'
= cespuglio, probabilmente in allusione al sapore aspro delle foglie e dei frutti. Il termine specifico è il
nome comune latino, usato da Plinio, con il quale veniva indicata la pianta. Sembra che il termine 'unedo'
derivi dal fatto che i romani consigliassero di mangiare un solo frutto essendo questo di difficile
digestione.