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Il pungitopo è una specie mediterranea presente in tutta Italia al di
sotto della fascia montana. Cresce nella macchia mediterranea e
negli aspetti più caldi dei boschi decidui, su suoli limoso-argillosi
profondi, neutro-basici. Il nome del genere deriva dal greco
'rugchos' (becco, rostro), per i cladodi dalla punta aguzza che
ricordano un becco d'uccello. I germogli sono commestibili previa
cottura. Tutta la pianta è tossica da fresca. Insieme all'agrifoglio è
una delle piante tradizionali del Natale: la raccolta sconsiderata a
fini commerciali ne ha minacciato la presenza allo stato spontaneo.
Nella credenza popolare è considerata pianta augurale. I getti
giovani sono commestibili e vengono consumati come gli asparagi.
In alcune regioni, con i rami spinosi della pianta venivano protetti i
formaggi in stagionatura contro i morsi dei topi: da ciò il nome
italiano 'pungitopo'. All’Orto Botanico ci sono più esemplari di
pungitopo; diversi di questi sono nati spontaneamente. Quelli
contrassegnati sono due: entrambi sulla Montagnola, uno nella zona
“mediterranea” (così definita per le specie presenti e l'ubicazione
sopraelevata e rivolta a Sud), e l’altro, di dimensioni maggiori,
vicino alla roccéra delle felci.
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Spine presenti anche sul margine della foglia
Ilex aquifolium L.
Specie subatlantica presente in Europa e Asia Minore, diffusa in
tutta Italia in boschi misti mesofili, con optimum nella fascia
montana. L'agrifoglio è una pianta magica fin da prima dell'avvento
del Natale cristiano; i Celti ritenevano che proteggesse dai demoni e
portasse fortuna e la usavano per decorare le abitazioni, tradizione
poi passata ai popoli cristiani durante il periodo natalizio. Le foglie e
soprattutto i frutti sono fortemente tossici. All’Orto Botanico
l’esemplare di agrifoglio situato sulla Montagnola è quello dalle
dimensioni maggiori, nonché il più vetusto. Su questo esemplare è
possibile osservare in maniera evidente il fenomeno del dimorfismo
fogliare: le foglie tendono infatti ad arrotondare i pronunciamenti
spinosi all’apice della chioma.
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Margine della foglia intero
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Margine della foglia dentato
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Foglie più lunghe di 5 cm. Fiori verdastri. Frutto rugoso
Maclura pomifera (Raf.) C.K. Schneid.
La maclura è originaria dell’America settentrionale. Viene chiamata
anche ‘spino degli Osagi’ che erano una tribù indiana stanziata nelle
pianure del medio Missouri; è stata introdotta in Europa
nell’Ottocento per tentare di sostituire il gelso nell’alimentazione del
baco da seta, a causa dei gravi attacchi di cocciniglia bianca, ma
questo tentativo ebbe scarso successo poiché le foglie non avevano
le stesse caratteristiche nutrizionali del gelso. Ne è documentata la
presenza in Italia dal 1822. Il legno molto flessibile veniva usato
dagli indigeni Osage per fabbricare archi; è stato impiegato anche
per costruire staccionate e cuccette ferroviarie. Produce un frutto dal
profumo gradevole, ma non commestibile. Il nome generico deriva
dal cognome del geologo americano William Maclure, vissuto a
cavallo del XVIII e XIX secolo; il nome specifico allude al frutto
che richiama vagamente come forma un pomo. All’Orto Botanico
sono presenti tre esemplari di maclura, con portamento arboreo.
L’esemplare nell’angolo Nord-Est è quello maggiormente visibile,