Area di studio


Il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, istituito nel 1990, si estende per 31.034 ettari nella parte meridionale della provincia di Belluno, tra le valli del Torrente Cismon ad ovest e del Fiume Piave ad est, con propaggini a nord verso il bacino del Maè (Val Prampèr) e nel basso Agordino. Include ambienti di media e alta montagna, compresi tra i 400 e gli oltre 2.500 metri di altezza. I gruppi montuosi interessati sono quelli delle Alpi Feltrine (Vette di Feltre, Cimónega, Pizzocco-Brendòl-Agneléze), dei Monti del Sole-Feruch, della Schiara-Talvéna, del Prampèr-Mezzodì e del Tàmer-San Sebastiano. Le cime principali sono: la Schiàra (2.565 m), il Sass de Mura (2.547 m), la Talvéna (2.542 m), il Pelf (2.502 m), il Pavióne (2.335 m), il Castello di Moschesin (m 2.499) e il Pizzón (2.240 m). Le Dolomiti, inserite nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, sono note a tutti, ma l’area inclusa nel Parco è forse la più affascinante e selvaggia; un mondo incantato di rocce e boschi, altopiani solari e oscuri canyon, acque impetuose e aride pietraie; oltre 31.000 ettari di natura selvaggia a meno di 100 chilometri da Venezia, con un incredibile ricchezza floristica ed una fauna straordinaria. L’area protetta coincide quasi integralmente con il sito Natura 2000 “Dolomiti Feltrine e Bellunesi”. L’area di studio di questa guida interattiva si estende al di fuori dei limiti amministrativi del Parco, comprendendo anche le aree limitrofe (v. Fig. 1)



Localizzazione e delimitazione dell’area di studio.

Una flora unica al mondo
Una dei principali motivi dell’istituzione del Parco Nazionale dolomiti Bellunesi è la straordinaria ricchezza della flora, che trova spiegazione nella articolata orografia, con forti salti di quota in spazi ristretti, nelle dinamiche dei periodi dominati dalle glaciazioni, nella sua posizione geografica, grazie alla quale le Dolomiti Bellunesi oggi ospitano sia specie termofile e meridionali, sia specie di provenienza orientale o centroeuropea, nelle tradizionali attività agrosilvopastorali che hanno favorito la creazione di habitat seminaturali tipici di pascoli e praterie alpine che ospitano una ricchissima flora e specie rare. Nel Parco e nelle aree limitrofe vivono oltre 1700 specie di piante vascolari (Argenti & Lasen 2000): quasi un terzo della flora italiana. Questo patrimonio include specie endemiche e rare e di elevato valore fitogeografico come la Campanula di Moretti (Campanula morettina, simbolo dell’area protetta); la Speronella alpina (Delphinium dubium); la Cortusa di Mattioli (Primula matthioli). Quattro le specie qui descritte dalla scienza per la prima volta: Thlaspi minimum, Minuartia graminifolia, Rhizobotrya alpina, Alchemilla lasenii. Alcune tra le mete imperdibili per gli appassionati di botanica sono: le fioriture della Busa delle Vette; la foresta di abete bianco e faggio di Cajada; i boschi di aceri, frassini e tigli della Val Costa dei Nass; i boschi misti di abete bianco e latifoglie nobili della Val del Grisol, unici in Europa.

Storia dell’esplorazione floristica
L’esplorazione floristica delle Dolomiti Bellunesi vanta un’antica tradizione: le Vette di Feltre e il Monte Serva hanno richiamato da secoli l’interesse dei botanici. Agli inizi, le piante venivano studiate esclusivamente per le loro virtù terapeutiche. Strumenti indispensabili per la conoscenza del mondo vegetale erano i cosiddetti codici-erbario, come lo straordinario Codex Bellunensis, composto a Belluno attorno al 1420, che contiene riferimenti a precise località quali il Monte Serva e la città di Belluno. Nel Codex compare anche la Stella Alpina, qui nella più antica raffigurazione fino ad oggi conosciuta (AA.VV. 2006).
Alla metà del ‘500, il medico bellunese Agostino Alpago lascia traccia delle sue esplorazioni floristiche in opere di famosi botanici dell’epoca quali Pietro Andrea Mattioli e Ulisse Aldrovandi. Nicolò Chiavena, farmacista di Belluno, pubblica nel 1609 Historia Absinthii Umbelliferii, prima testimonianza della ricchezza floristica del Monte Serva. In suo onore Linneo ha poi chiamato l’Absinthium umbelliferum del Monte Serva Achillea clavennae.
Nel corso del 1700 lo studio delle piante acquista un carattere autonomo rispetto alla medicina, iniziano le prime esplorazioni sistematiche dell’area e la fama delle Vette di Feltre quale hortus di primario valore si diffonde tra i botanici del tempo. Antonio Tita, nel 1712, e Gian Girolamo Zannichelli, nel 1724, esplorano le Vette di Feltre, documentando per la prima volta specie notevoli quali l’Aconito antora (Aconitum anthora), la Speronella alpina (Delphinium dubium), la Cortusa di Mattioli (Primula matthioli), l’Alisso dell’Obir (Alyssum ovirense) e la Genziana maggiore (Gentiana lutea). Pietro Arduino (1728-1805), dell’Orto botanico di Padova, descrive per primo Thlaspi minimum e Minuartia graminifolia. Per queste due piante le Vette Feltrine rappresentano pertanto il locus classicus, la località da cui la specie è stata scoperta e descritta per la prima volta. Del bellunese Giuseppe Agosti resta un voluminoso trattato De re botanica tractatus, del 1770, con riferimenti al Monte Serva ed ai dintorni di Belluno.
Nell’800 si stabilisce una fitta rete di collaborazione tra i botanici e vengono pubblicate le prime guide alpinistiche delle Dolomiti, che spesso riportano qualche nota floristica. Botanici di spicco che studiano le Vette di Feltre sono il veneziano Nicolò Contarini, il vicentino Francesco Beggiato, che nel 1833 descrive per primo Rhizobotrya alpina e Giovanni Montini, farmacista bassanese. Alessandro Francesco Sandi (1794-1849) redige un primo elenco floristico della provincia e il suo erbario include un centinaio di piante provenienti dall’area del Parco. Al tirolese Rupert Huter (1834-1922), vanno attributi i primi ritrovamenti sul Serva di diverse specie tra cui una delle perle del Parco: l’Alisso dell’Obir (Alyssum ovirense). Giacomo Bizzozero (1852-1883), erborizza sulle Vette, nel bacino del Maè e in Val Pramper, dove descrive la Spirea cuneata (Spiraea decumbens var. bellunensis). Nel secolo scorso si apre un’intensa stagione di ricerca floristica condotta da diversi botanici, formatisi presso l’Orto botanico di Padova, allora guidato da Pier Andrea Saccardo. Il cadorino Renato Pampanini riporta numerosi riferimenti alle Dolomiti Bellunesi in un suo lavoro sugli endemismi delle Alpi orientali, pubblicato nel 1903. Pier Andrea Saccardo e Giovanni Battista Traverso pubblicano nel 1904 La Flora delle Vette di Feltre. Michelangelo Minio (1872-1961) perlustra le montagne bellunesi, oltre al Piave e alle zone di fondovalle, e compone un ricco erbario. Un importante contributo alla conoscenza del patrimonio naturalistico della provincia è opera del bellunese Francesco Caldart (1892-1970), che segnala per la prima volta il Trifoglio norico sul M. Talvéna. Ruben Sutter (1969) esamina alcuni endemismi riportando elenchi di specie, oltre che per il M. Serva, anche per la Val dei Ross.
In età moderna le ricerche condotte a partire dagli anni ‘70 del XX secolo richiamano un crescente interesse naturalistico per questo territorio e offrono supporto scientifico all’istituzione del Parco. In particolare negli anni ’70 Sandro Pignatti e Erika Wikus (Pignatti Wikus 1978, Pignatti 1982) avviano la prima sistematica catalogazione della flora dell’area. Il rinnovato interesse per gli studi sulla flora della zona sfocia nell’attività di Cesare Lasen e Carlo Argenti, i cui lavori hanno consentito il raggiungimento di un elevato livello nella conoscenza floristica delle Dolomiti Bellunesi. Tra le più recenti acquisizioni si annovera l’Alchemilla di Lasen (Alchemilla lasenii), descritta nel 2005 dallo specialista tedesco Sigurd Fröhner. Del 2004 è invece la segnalazione di una stazione di Pinguicula poldinii in Val di Lamen, mentre nel 2013 è stata individuata la presenza, in Val di Canzoi), di Liparis loeselii, una delle più rare orchidee della flora italiana. Si tratta di un’entità prima identificata come subsp. nemoralis e poi oggetto di attenzioni e dispute a livello nomenclaturale.

Conoscere la flora del Parco
Per promuovere e valorizzare la sua straordinaria ricchezza floristica il Parco ha realizzato, a Belluno, un Museo naturalistico dedicato alla flora e alla vegetazione delle Dolomiti Bellunesi. Il Museo, inaugurato nel 2015, è nato per custodire tre importanti erbari, frutto di raccolte condotte in tempi diversi da alcuni dei botanici sopra citati. L'erbario più antico è quello di Alessandro Francesco Sandi, che risale alla prima metà dell'Ottocento; più recente è la raccolta di Francesco Caldart, realizzata verso la metà del secolo scorso; mentre l'erbario più recente e più consistente in termini numerici (circa 25.000 fogli) è quello di Cesare Lasen, attualmente in fase di schedatura.
Per dare a tutti la possibilità di conoscere dal vero alcune delle più importanti specie della flora del Parco è stato realizzato un giardino botanico in Val del Mis, a monte dell’omonimo lago. Inaugurato nel luglio 2008, il giardino consente l'osservazione di specie d'alta quota, senza dover intraprendere difficili e faticose escursioni, che non sono alla portata di tutti i visitatori dell'area protetta, ed è suddiviso in settori che ricreano i principali ambienti del Parco: le rocce e i ghiaioni, le zone umide, i prati e i pascoli, il bosco. La struttura è stata progettata rispettando le più moderne indicazioni in materia di fruizione per i portatori di handicap visivi, attraverso l'uso del Braille nei pannelli didattici e la realizzazione di un plastico in rilievo dell'intero giardino. Particolare attenzione è stata dedicata anche alle esigenze dei portatori di handicap motori: il giardino è infatti completamente accessibile e percorribile in carrozzina.

Gli ambienti del Parco
Una descrizione dettagliata delle unità ambientali presenti nel territorio del Parco è stata elaborata da Lasen (Lasen & Scariot in Ramanzin 2004, Lasen 2004). Per illustrare in modo sintetico i differenti ambienti presenti nell’area di studio si fa però riferimento, in questa sede, alle unità di paesaggio individuate in fase di redazione del piano di gestione SIC/ZPS Dolomiti Bellunesi e Feltrine, che sono in parte riprese dalla categorizzazione dei distretti orografici del Parco proposta da Giordano & Toffolet (2002). Sulla base di caratteristiche geologiche e geomorfologiche, vegetazionali ed antropiche, l’area di studio può essere suddivisa in 11 ambiti:
1. Vette Feltrine;
2. Gruppo del Cimónega;
3. Gruppo Brendòl, Piani Eterni, Pizzocco, Agneléze;
4. Monti del Sole;
5. Pramper- Spiz di Mezzodì;
6. Gruppo della Talvéna;
7. Gruppo della Schiara;
8. Monte Serva;
9. Val Cordevole;
10. Val del Mis;
11. Val Canzoi.
Per ciascun ambito vengono sinteticamente descritti i dati principali relativi a localizzazione, uso del suolo e vegetazione.

Vette Feltrine
L’area, estesa su quasi 6.000 ha di superficie, include l'estrema appendice occidentale del Parco, compresa tra il torrente Cismon a ovest e la Val Canzoi a est. Le Vette Feltrine rappresentano l'area più interessante delle Dolomiti Bellunesi dal punto di vista stratigrafico e paleontologico. I versanti meridionali del distretto sono incisi dalle valli di Lamen e di San Martino, sviluppate rispettivamente sui corsi dei torrenti Colmeda e Stien. Le principali cime presenti nel distretto sono: Pavione (2.335 m), Col di Luna (2.295 m), Cima Dodici (2.265 m), Ramèzza (2.250 m), Sasso Scarnia (2.226 m), Piètena (2.194 m), Pavionèt (2.187 m), Vallazza (2.167 m), Zoccaré Alto (1.929 m) e San Mauro (1.836 m). Vegetazione e uso del suolo: nella fascia montana dominano le faggete (circa il 20% dell’intera superficie di ambito). Ben rappresentati anche gli ostrieti nelle zone più esterne. I prati hanno qui un alto valore in termini di diversità di specie, ma occupano superfici residuali in ulteriore pericoloso regresso. In ambiente subalpino dominano i pascoli (20%), in questo ambito ricadono infatti sistemi di alpeggio tradizionali, con malghe ancora attive (Vette Grandi e Casère dei Boschi); mentre gli ambienti più primitivi (rupi e ghiaioni) occupano circa il 20% dell’area. Sono poi presenti più marginalmente peccete montane (5%), mughete (4%), brughiere e alnete subalpine (7%).


Vette Feltrine: Busa delle Vette vista da cresta Pavione (foto: E.Vettorazzo)

Gruppo del Cimónega
Questo ambito, tra i meno estesi del Parco (866 ha), si innalza tra il Gruppo delle Vette Feltrine a ovest e il gruppo Brendòl, Piani Eterni, Pizzocco, Agneléze a est, occupando un piccolo lembo di territorio lungo il margine settentrionale dell’area protetta, nettamente definito a sud dal corso del torrente Caorame e dalla Val d’Alvis. Dal Gruppo del Cimónega si dirama verso il Piave il sistema vallivo della Val Canzoi, sviluppato dal corso del torrente Caorame e dei suoi affluenti, spartiacque tra il distretto Vette Feltrine e Brendòl-Piani Eterni-Pizzocco. Le principali cime presenti nel Gruppo sono Sass de Mura (2.547 m), Piz de Sagrón (2.486), Piz de Mèz (2.440 m), Comedón (2.325 m), Sviért (1.560 m). Il dislivello altimetrico va dai 795 ai 2.547 m. Vegetazione e uso del suolo: l’ambiente rupestre è quello predominante, con una copertura del 33%. I ghiaioni interessano circa il 5% del massiccio. Molto ben rappresentate sono le formazioni a pino mugo (11%), le praterie alpine e subalpine (11%) e quelle aride sub-mediterranee (9%). La faggeta ha una copertura del 14%, mentre il lariceto del 6% e la pecceta del 2%.


Il Gruppo del Cimonega (foto: F. Friz - CTCA)

Gruppo Brendòl, Piani Eterni, Pizzocco
Compreso tra la Val Canzoi e la Valle del Mis, è l’ambito più vasto del Parco (6.757 ha di superficie), imperniato sul Gruppo di Brendòl, su cui si apre l’altopiano di Erera-Piani Eterni, fronteggiato a sud dai rilievi del monte Pizzocco. Dai versanti meridionali di quest'ultimo si diparte il sistema vallivo della Val Scura, sviluppato dal torrente Vesès. Le principali cime del distretto sono Pizzocco (2.186 m), Brendòl (2.160 m), Agneléze (2.140 m), Colsent (2.086 m), Tre Pietre (1.965 m). Il range altimetrico va dai 400 ai 2.186 m. Vegetazione e uso del suolo: la mugheta è l’ambiente maggiormente diffuso con una copertura del 18%. I boschi sono costituiti da ostrieti (16%), faggete (17%), lariceti (17%) e peccete (6%), Le rupi coprono circa il 9% dell’area, mentre le praterie montane il 5% e le brughiere subalpine a Rhododendron e Vaccinium il 4%.


Il Gruppo del .Brendol Piani Eterni visto da Cimia (foto E. Canal - CTCA)

Monti del Sole
Il Gruppo dei Monti del Sole è l’ area più inaccessibile del Parco, nettamente delimitata da due profonde valli: la Val del Mis a ovest e la Val Cordevole a est. Il massiccio si estende su oltre 6.000 ettari di superficie e culmina nel Piz de Mezzodì o Pizzón (2.240 m). Numerose gole e strette valli laterali solcano i versanti del Gruppo, rendendone difficile l'accesso ed elevata la valenza naturalistico-paesaggistica. L’intervallo altimetrico è compreso tra i 390 e i 2.240 m. Vegetazione e uso del suolo: all’interno dell’ambito la superficie boschiva è molto estesa: i boschi sono costituiti da ostrieti (25%), faggete (23%), lariceti (12%), peccete (6%) e pinete (4%). Anche la mugheta è molto diffusa, con una copertura del 12%. La pressione antropica è, in questo ambito territoriale, praticamente inesistente.


Monti del Sole: Val Pegolera (foto: E. Vettorazzo)

Pramper - Spiz di Mezzodì
Questo sub-ambito (1.295 ha di superficie) occupa l'estrema appendice nord-orientale del Parco, separata a sud dal Gruppo della Talvéna dalla linea di faglia della Valsugana. Include i rilievi del Prampèr (2409 m) e degli Spiz di Mezzodì (2.324 m) a est e del Moschesin a ovest, che delimitano la Val Prampèr. Il range altitudinale varia da 1.020 a 2.499 m (Castello del Moschesin). Vegetazione e uso del suolo: mughete (26%), lariceti (23%) ed ambienti rupestri (19%) sono le formazioni predominanti all’interno di questa unità di paesaggio. Anche i ghiaioni (11%) contribuiscono a caratterizzarne il territorio, insieme alle peccete (9%) e alle brughiere subalpine a Rhododendron e Vaccinium (5%).


Pramper: Val Balanzola (foto: E. Vettorazzo)

Gruppo della Talvéna
Il Gruppo si trova nella porzione orientale del Parco e include gli spettacolari Van de Zità: sperduti circhi glaciali sul versante settentrionale del massiccio, che presentano interessanti analogie dal punto di vista geo-morfologico con le Vette Feltrine, che si trovano all’altra estremità del Parco. Le principali cime del distretto sono la Talvéna (2.542 m) e le Cime di Zità (2.465 m); l’intervallo altimetrico è compreso tra i 460 e i 2.542 m. Vegetazione e uso del suolo: all’interno dell’ambito la superficie boschiva è molto estesa: i boschi sono costituiti da faggete (20%), peccete (9%), lariceti (9%), ostrieti (6%) ed abetine (3%). Diffusi sono anche i pascoli alpini e subalpini (13%) e le mughete (11%). Sempre presente è anche la brughiera subalpina a Rhododendron e Vaccinium (6%), così come gli ambienti rupestri (5%) e i ghiaioni (5%).


Gruppo della Talvéna: Van de Zità (foto: G. Poloniato)

Gruppo della Schiara
Il Gruppo della Schiara si innalza nella parte sud-orientale del Parco, tra il corso del Cordevole, del Maè e del Piave. Il Gruppo, lungo i suoi versanti meridionali, è inciso dalla Valle dell'Ardo e dal torrente Desedàn, attorno al quale si sviluppa la conca di Cajada. La Val Vescovà e la Val Grisol la separano dal Gruppo della Talvéna, la Valle Molin dei Frari dal monte Serva. Le principali cime del Gruppo sono Schiara (2.565 m) (massima elevazione del Parco), Pelf (2.502 m), Gusela del Vescovà (2.365 m) e Coro (1.985 m). L’intervallo altitudinale è compreso tra 390 e 2.565 m. Vegetazione e uso del suolo: questo ambito si distingue per la qualità e l'estensione dei suoi ambienti forestali: faggete (24%), ostrieti (11%), lariceti (7%), abetine (7%), peccete (6%) e pinete (4%), Sono inoltre presenti alcuni nuclei di rimboschimenti a conifere (3%). I boschi sono intercalati da ampie praterie (10%). L’ambiente rupestre caratterizza circa il 10% del territorio, mentre la mugheta il 7% e la brughiera subalpina il 5%. Si tratta di uno dei pochi ambiti del Parco in cui si realizzano attività significative di sfruttamento selvicolturale delle foreste.


Gruppo della Schiara: Palughet (foto: E. Vettorazzo)

Monte Serva
Il distretto del monte Serva (917 ha) occupa una ridotta porzione dell’estremità orientale del Parco, in corrispondenza di un cambio di direzione verso nord del fiume Piave. Il corso del torrente Rui Fret, tributario del torrente Ardo e quello del Molini dei Frari delimitano a nord il distretto, separandolo dalla Schiara e dalla conca di Cajada. Questo sub-ambito si estende da un’altitudine di 580 m alla cima del monte Serva (2.133 m). Vegetazione e uso del suolo: il territorio è caratterizzato per il 46% da pascoli e praterie, ancora oggi parzialmente utilizzati per l’allevamento ovino. In questa area si ha la maggior estensione di rimboschimenti di conifere (9%), mentre i boschi naturali sono così rappresentati: ostrieto (6%), faggeta (10%), pineta (4%), lariceto (8%). I ghiaioni coprono invece circa il 6% della superficie.


Il Monte Serva (foto: E. Canal - CTCA)

Val Cordevole
La Val Cordevole, canale di collegamento tra Dolomiti e Prealpi, è una valle molto antica, che solca trasversalmente l’intera catena delle Dolomiti Bellunesi. Il suo fondovalle, incluso nel Parco per poco meno di 400 ha di superficie complessiva, si sviluppa tra i 400 e i 560 m. Vegetazione e uso del suolo: la valle è interessata da corsi d’acqua con vegetazione erbacea riparia per circa il 27% della superficie. Per il 22% è caratterizzata invece da formazioni ripariali dominate dall’ontano bianco che spesso formano dei boschi a galleria lungo il fiume. Sono presenti poi pinete (20%), ostrieti (14%) e prati falciati e concimati (14%). Si tratta dell’unico ambito del Parco in cui la pressione antropica è significativa, per la presenza della strada di fondovalle e di alcuni nuclei abitativi.


La Val Cordevole (foto: E. Canal - CTCA)

Val del Mis
La Val del Mis è uno stretto e profondo canyon, una valle trasversale molto antica, che solca l'intera catena delle Dolomiti Bellunesi e che oggi è occupata, nella sua parte terminale, da un grande invaso artificiale. Si estende tra i 415 e i 710 metri di quota. Vegetazione e uso del suolo: la Val del Mis, oltre che per il fascino dei suoi ambienti rupestri, si distingue per la qualità dei suoi biotopi umidi (cascate, cadini, sorgenti, forre). Il Lago del Mis si estende a coprire circa il 36% dell’area, mentre i corsi d’acqua circa il 17%. L’ambiente dominante tutto intorno è l’orno-ostrieto, mentre di particolare significato biogeografico sono le pinete di pino nero, qui al limite occidentale del proprio areale di diffusione. In questa area, così come in quella della Val Canzoi, si concentrano i maggiori flussi turistici del Parco.


Val del Mis: Val Falcina (foto: E. Vettorazzo)

Val Canzoi
La Val Canzoi incide trasversalmente l'intera successione stratigrafica delle Dolomiti Bellunesi nel loro tratto occidentale. Sviluppata lungo il torrente Caorame, è spartiacque tra i sub-ambiti Vette Feltrine, Brendòl-Piani Eterni-Pizzocco e il Gruppo del Cimónega. Parzialmente occupata dal bacino artificiale de La Stua, si estende in un range altimetrico che va dai 590 ai 1450 m. Questo ambito paesaggistico è il meno esteso del Parco, con una superficie di 320 ettari. Vegetazione e uso del suolo: tra le valli notevoli del Parco, la Val Canzoi si distingue per la qualità dei suoi ambienti prossimo-naturali. Il bosco è l’ambiente dominante, costituito da ostrieti (52%), faggete (25%), pinete (15%) ed in minor misura da peccete (2%). Il lago artificiale de La Stua copre invece il 4% della superficie dell’area in esame.


Val Canzoi: Val delle Grave (foto: E. Vettorazzo)



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