La lichenologia in Italia

Testo tradotto e adattato da Nimis P.L., 2016. The Lichens of Italy. A Second Annotated Catalogue. EUT, Trieste, 739 pp.

I licheni sono stati raccolti e illustrati da molti autori durante il Rinascimento italiano, ad esempio da Ferrante Imperato (1525-1615), Fabio Colonna (1567-1640), Paolo Boccone (1633-1704) e Federico Cesi (1585-1630). Quest'ultimo, che per la prima volta usò il microscopio costruito da Galileo Galilei, pubblicò la prima chiara illustrazione di soredi, aprendo la strada a Pier Antonio Micheli (1679-1737), che è considerato da molti come il fondatore della Micologia scientifica, e forse il vero "padre della lichenologia". Nato in una famiglia povera a Firenze, Micheli fu apprendista in una libreria a Firenze in tenera età. Egli non poté permettersi un'istruzione formale, sebbene fosse in grado di studiare autonomamnte latino e botanica. Nonostante la mancanza di una laurea, nel 1706 fu nominato botanico del Granduca Cosimo III de'Medici, duca di Toscana, con l’incarico di curare i giardini pubblici di Firenze. Micheli ebbe un ruolo fondamentale nella fondazione, nel 1716, della Società Botanica Fiorentina, molto probabilmente la prima società botanica del mondo. Il suo lavoro principale, "Nova Plantarum Genera Juxta Tournafortii Methodum Disposita" (1729), ha riguardato circa 1900 specie, tra cui circa 900 funghi e licheni, illustrati in 73 tavole. Micheli fu il primo a osservare e descrivere le spore fungine come corpi riproduttivi, a descrivere gli aschi e a coltivare i funghi dalle spore.
Dopo Micheli, non vi fu un contributo significativo alla lichenologia da parte di autori italiani fino alla prima metà del XIX secolo quando, immediatamente prima dell'Unità d'Italia, lo studio delle crittogame, e in particolare dei licheni, vide un improvviso momento di fioritura. Questo avvenne, più o meno allo stesso tempo, nella maggior parte dei paesi dell'Europa settentrionale e centrale; in Italia, tuttavia, assunse un'estensione insolita. Lungo un periodo di circa 15 anni, dal 1846 (anno della pubblicazione dei "Frammenti Lichenografici" di G. De Notaris) al 1860 (morte di A. Massalongo), l'Italia divenne il principale centro di lichenologia nel mondo, una posizione forse mai raggiunta da questo paese nel campo della botanica.
Dopo il periodo delle guerre napoleoniche, la situazione economica di gran parte dell'Europa, incluso il nord Italia, subì un netto miglioramento, dovuto alla progressiva espansione della rivoluzione industriale. L'illuminismo considerava le scienze naturali come un elemento indispensabile nella cultura di qualsiasi persona: molti enciclopedisti coltivavano studi botanici come parte dei loro interessi culturali e la cultura scientifica si stava espandendo sotto l'impulso degli sconvolgimenti politici ed economiciportati dalla rivoluzione francese e dalle successive campagne napoleoniche. I moti del 1848 furono l'espressione dell'inadeguatezza del vecchio sistema politico-economico rispetto alle nuove esigenze della nascente borghesia. In Italia questi sviluppi furono ostacolati dalla persistenza della vecchia tradizione letteraria umanistica, e furono comunque avvertiti principalmente nel nord del paese, che era il più vicino agli sviluppi politici e culturali in corso nel resto d'Europa. Inoltre nella prima metà del XIX secolo la botanica era parte integrante del curriculum di studi di medici e farmacisti, rappresentanti emblematici della sempre più prospera classe media. Non stupisce che in questo periodo molti dei più grandi botanici fossero medici, farmacisti, sacerdoti o discendenti di famiglie nobili. Tuttavia, l'improvvisa fioritura degli studi crittogamici non può essere attribuita solo a cause culturali o economiche. In particolare, è difficile spiegare solo su questa base la posizione di leader assunta dall'Italia, un'area che, in termini sia economici sia culturali, era in ritardo rispetto ad altri paesi europei. In effetti, la ragione principale risiede altrove: l'improvvisa fioritura degli studi crittogamici in Italia intorno alla metà del XIX secolo è dovuta principalmente ai progressi tecnici.
Il primo importante sistema lichenologico, quello del lichenologo svedese E. Acharius (1757-1819), si basava principalmente su caratteri macroscopici e, con il senno di poi, risulta essere molto artificiale. Fu solo a partire dal 1840 che i caratteri microscopici, specialmente quelli riguardanti il colore delle spore e la settazione, furono adottati come criteri tassonomici di fondamentale importanza; la nuova enfasi sulle spore portò a una rivoluzione dei precedenti schemi tassonomici, esattamente come accade oggi con i dati molecolari. L'innovazione che rivelò una vasta gamma di nuovi caratteri per la definizione di gruppi più naturali fu l'invenzione di un nuovo microscopio con lenti acromatiche da parte di Giovanni Battista Amici (1786-1862), che permise un'indagine molto più dettagliata dei caratteri microscopici. Amici fu il principale produttore italiano di strumenti per ottica scientifica del XIX secolo e una delle figure di spicco in questo periodo a livello internazionale. Egli applicò all'obiettivo del microscopio la lente emisferica frontale (1838) e introdusse la tecnica dell'immersione in acqua (1847) e in vari tipi di olio (1855). Tra il 1857 e il 1860 inventò il prisma a visione diretta, che continua a essere utilizzato in spettroscopia e porta ancora il suo nome. Una prima versione del nuovo microscopio fu prodotta nel 1827 e lo strumento fu disponibile sul mercato italiano tra il 1830 e il 1840. I botanici italiani furono i primi ad avere l'opportunità di acquisirlo, e questo rivelò loro un nuovo mondo tutto da esplorare per l'acuto osservatore.
Che tutte le specie di un genere naturale debbano avere lo stesso tipo di spore era già stato dichiarato nel 1837 dall'eminente crittogamologo francese A.L.P. Feé (1789-1874). Molti lichenologi contemporanei di Feé, tuttavia, si opposero a questa tesi, in quanto con i microscopi allora generalmente disponibili l'osservazione dei caratteri delle spore era considerata troppo difficile per l'uso pratico. Feé abbandonò presto la lichenologia per la pteridologia. A partire dal 1846, tuttavia, vi fu una vera esplosione di studi lichenologici da parte di botanici italiani, in cui l'uso del microscopio ebbe un ruolo importante. Gli italiani G. De Notaris (1805-1877) e A.B. Massalongo (1824-1860), entrambi ora riconosciuti come autorità di livello mondiale nella lichenologia, lavorarono con il microscopio di Amici. In conclusione, la posizione preminente assunta in breve tempo dall'Italia era quindi dovuta al fatto che questo fondamentale progresso tecnico fu raggiunto per la prima volta in questo paese. Tale spiegazione non vuole sminuire il merito degli studiosi italiani di quel tempo, ma sottolinea il fatto che la storia della scienza non può essere ridotta a una semplice sequenza di storie individuali.
I principali protagonisti del "Periodo d'oro" della lichenologia italiana furono Giuseppe De Notaris (1805-1877), Abramo Bartolomeo Massalongo (1824-1860), Martino Anzi (1812-1881), Vittore Trevisan di San Leon (1818-1897), e Francesco Baglietto (1826-1916). De Notaris, Massalongo e Trevisan erano principalmente interessati alla sistematica: i vecchi schemi di classificazione risalenti ad Acharius, basati su caratteri macroscopici, furono completamente rivoluzionati dall'uso di caratteri microscopici, come la forma, il colore e le dimensioni delle spore e la microstruttura degli ascocarpi. L'importanza internazionale di questi studi è stata notevole, e ha causato una serie di discussioni spesso feroci, che coinvolsero i grandi lichenologi dell'epoca.
La figura di De Notaris ha una chiara posizione di pioniere e precursore: già nel 1867 nella sua "Storia della lichenologia", Krempelhuber suddivise questa disciplina in sei periodi principali, di cui il quinto (1801-1845) fu chiamato "da Acarius a De Notaris", sottolineando così il carattere rivoluzionario dell'opera del grande botanico italiano. De Notaris può essere considerato il fondatore di un nuovo periodo nella storia della classificazione degli ascomiceti nel suo insieme, e non solo delle specie che formano licheni. Nella sua vasta produzione scientifica, gli articoli sui licheni rappresentano una porzione numericamente piccola. Lo stesso De Notaris disse, con la sua solita modestia, che aveva a che fare con la lichenologia "nelle ore di svago". La sua opera lichenologica consiste in una dozzina di pubblicazioni, solo una delle quali (i “Frammenti lichenografici di un lavoro inedito” del 1846) sarebbe bastata a concedergli un posto chiave nello sviluppo della lichenologia. Riferendosi alle dichiarazioni di Feé sull'importanza dei caratteri sporologici per una classificazione naturale dei licheni, De Notaris analizzò e descrisse accuratamente l'anatomia di sessanta specie. Partendo dall'osservazione che specie simili si riscontrano in molti generi che appaiono chiaramente distinti sulla base di caratteri macroscopici, giunse alla conclusione che generi macroscopicamente simili, ma sostanzialmente diversi nei caratteri sporologici, non fossero naturali. Pertanto, suggerì la possibilità di creare un sistema di classificazione molto più naturale utilizzando, in ordine di importanza: (a) caratteri delle spore, (b) struttura degli ascocarpi e (c) morfologia del tallo. I lavori di De Notaris ebbero un'enorme influenza in tutta Europa, e le sue idee di base furono applicate e sviluppate con straordinaria intensità da A. Massalongo, sicuramente il più eccezionale di tutti i lichenologi italiani.
In soli undici anni, Massalongo produsse un'impressionante serie di articoli, alcuni pubblicati postumi, in cui modificò drasticamente la tassonomia dei licheni sulla base di caratteri microscopici tra cui principalmente, ma non solo, quelli delle spore. Un esempio tipico è dato dal suo interesse per i cosiddetti "licheni blasteniosporali", cioè quelli con forma di crescita e aspetto molto diversi, che condividono le tipiche spore polar-diblastiche di quella che oggi è riconosciuta come la famiglia delle Teloschistaceae. La "Synopsis Lichenum Blasteniosporum" (1852) fu un coraggioso tentativo di riconoscere l'affinità di questi licheni e di disporli in generi più naturali, la maggior parte dei quali furono quasi completamente dimenticati dopo la morte di Massalongo, quando centinaia di specie furono collocate in tre principali generi molto artificiali, principalmente definiti dalla forma di crescita: Caloplaca (licheni crostosi), Xanthoria (licheni foliosi) e Teloschistes (licheni fruticosi). Oggi la tassonomia molecolare delle Teloschistaceae è in piena evoluzione e in un recente trattato in cui vengono riconosciuti 39 generi, alcuni nomi generici massalongiani, come Blastenia, Gyalolechia, Pyrenodesmia e Xanthocarpia, vengono riportati alla luce. Durante la sua breve vita, Massalongo dovette combattere per difendere le sue idee, in particolare contro Nylander ma anche contro altri lichenologi italiani tra cui Vittore Trevisan di San Leon. Benché Trevisan riconoscesse l'importanza tassonomica dei caratteri delle spore, egli era spesso in conflitto con Massalongo nell'applicazione di tali principi.
La maggior parte delle opere lichenologiche di Trevisan fu pubblicata tra il 1853 e il 1869. La pubblicazione delle "Ricerche fondamentali sull'Autonomia dei Licheni Crostosi" di Massalongo (1852) fu probabilmente il principale stimolo alla pubblicazione del gran numero di lavori di Trevisan nei primi anni del 1850, con 7 articoli lichenologici pubblicati in gran fretta. È difficile comprendere l'effetto che i lavori di Massalongo produssero su Trevisan, senza sapere che negli anni precedenti egli aveva lavorato intensamente a una nuova sinossi di generi lichenizzati, in cui erano state riprese le nuove idee sporologiche. La pubblicazione dell'opera di Massalongo, la cui importanza Trevisan non poteva negare, anticipava alcuni dei nuovi generi che egli voleva descrivere, e lo costrinse a rivedere le sue idee precedenti, ad adottare una posizione critica contro molti dei concetti espressi da Massalongo e soprattutto a pubblicare quanto prima ciò che aveva elaborato fino a quel momento, senza avere la possibilità di rifinire il tutto come probabilmente avrebbe desiderato. Questa situazione portò a gravi incomprensioni tra i due lichenologi.
Durante il 1853 e il 1854, l'attività lichenologica di Massalongo esplose in una serie di importanti documenti che determinarono una vera rivoluzione nella disposizione generica dei funghi lichenizzati. Nell'introduzione a uno di questi contributi fondamentali, le "Memorie Lichenografche" (1853), Massalongo fornì una risposta dettagliata alle precedenti critiche di Trevisan. In primo luogo, espresse il suo disaccordo sull'importanza relativa dei caratteri ai fini tassonomici: secondo Massalongo, Trevisan sottovalutò l'importanza dei caratteri del tallo, della dimensione delle spore, della struttura e genesi degli apoteci. Queste considerazioni furono illustrate per mezzo di una decisa difesa di alcuni generi massalongiani che non erano stati accettati da Trevisan. Alla fine, Massalongo cercò di demolire molti generi proposti da Trevisan, sia perché erano molto mal caratterizzati, sia perché troppo eterogenei. Oggi bisogna riconoscere che molte critiche di Massalongo sembrano essere pienamente giustificate. Il lichenologo veronese era uno scienziato molto più acuto del suo collega padovano; Trevisan cercava continuamente una sintesi, ma ebbe la sfortuna di vivere in un periodo in cui il lavoro analitico era molto più importante e produttivo.
Nel 1860, anno della morte di Massalongo, Trevisan pubblicò quella che è forse la più importante delle sue opere, un conspectus generale dei licheni pirenocarpici che affronta anche in modo piuttosto completo le specie lichenicole conosciute a quel tempo. Il "Conspectus Verrucarinarum" è un tipico esempio dello stile di Trevisan: il testo è estremamente conciso, essendo limitato alla presentazione di un conspectus tassonomico con le caratteristiche principali dei taxa accettati, le principali sinonimie, informazioni nomenclaturali e numerosi nuove combinazioni, presentate in modo telegrafico. Nascosti nel denso testo in caratteri piccoli, si trovano dettagli nomenclaturali che passano facilmente inosservati.
Massalongo e Trevisan seguirono principi simili e furono membri della stessa scuola. Tuttavia i loro atteggiamenti scientifici erano piuttosto diversi. Massalongo era un potente spirito analitico, mentre Trevisan aveva una chiara tendenza alla sintesi e alla correzione della documentazione storica. Quasi tutti i suoi articoli lichenologici mostrano uno sforzo continuo per portare chiarezza in un periodo caratterizzato da un flusso confuso di nuove informazioni derivanti dagli sviluppi della scuola sporologica. Da un esame attento dei suoi lavori lichenologici si ha l'impressione che il suo contributo alla lichenologia sarebbe stato molto maggiore se egli avesse potuto pubblicare le sue idee alcuni anni prima del periodo "massalongiano" del 1852-1860, e se non si fosse preoccupato di "mettere in ordine il passato". Sfortunatamente per lui, l'attività di Massalongo contrastò i suoi piani e il suo progetto di un sistema di classificazione onnicomprensivo fu ridotto a una serie sparsa di frammenti pubblicati frettolosamente, che necessitarono di continue ricostruzioni e adattamenti dopo l'uscita di ogni lavoro di Massalongo. Tuttavia, il sistema di Trevisan, sebbene pubblicato in forma frammentaria, costituisce uno degli ultimi esempi apparsi nel secolo scorso di disposizione tassonomica generale dei funghi lichenizzati e lichenicoli basata su caratteri microscopici.
Dopo la morte di Massalongo, gli interessi dei principali lichenologi italiani si spostarono verso lo studio floristico del territorio, con gli importanti studi di M. Anzi, F. Baglietto e A. Carestia (1825-1908). L'eccellente lavoro di questi lichenologi suscitò una certa attenzione internazionale principalmente a causa della distribuzione, sotto forma di exsiccata, delle molte nuove specie descritte, ma tale attenzione non fu paragonabile a quella generata dalle pubblicazioni di De Notaris, Massalongo e Trevisan. Durante la seconda metà del secolo la crisi si acuì rapidamente: già all'inizio del XX secolo la lichenologia in Italia era praticamente estinta. La Società Crittogamologica Italiana ebbe vita breve: la pubblicazione degli Atti cessò nel 1868, mentre nel 1872 si interruppe anche la distribuzione dell'Erbario Crittogamico. Il tentativo di rilanciare l'Associazione, nel 1878, fallì e nel 1885 essa praticamente si estinse. Verso la fine del XIX secolo la lichenologia italiana fu rappresentata principalmente da Antonio Jatta (1853-1912), un ricco proprietario terriero dell'Italia meridionale che iniziò un meritorio lavoro di sintesi culminato nella pubblicazione della parte dedicata ai licheni nella "Flora Italica Cryptogama" ( Jatta 1900-1909). Questo lavoro è senza dubbio lodevole, ma avrebbe richiesto un continuo aggiornamento da parte di una nuova generazione di lichenologi. Sfortunatamente, a quel tempo, la lichenologia poteva essere considerata estinta nelle università italiane.
Il rapido declino della lichenologia in Italia non può essere attribuito unicamente alla scomparsa di tre personalità eccezionali come De Notaris, Massalongo e Trevisan. È evidente che esso fu influenzato in modo decisivo dall'unificazione d'Italia e dai conseguenti profondi cambiamenti nella politica universitaria dei nuovi governi. Il nuovo Stato dovette affrontare una serie di difficili problemi economici, inclusa la ristrutturazione del sistema agricolo. I frequenti focolai di funghi patogeni nella seconda metà del XIX secolo aggravarono ulteriormente la situazione. La botanica fu sempre più vista come una scienza applicata in seguito agli sviluppi del positivismo alla fine del XIX secolo, che fu sempre più influenzato dagli impressionanti progressi del settore industriale. La tassonomia, in particolare, iniziò a essere vista come una "scienza di seconda categoria", qualcosa di paragonabile all'attività dei collezionisti di francobolli, e appariva come obsoleta e di scarsa utilità rispetto ai progressi della fisiologia vegetale, e alla necessità di acquisire informazioni dettagliate sulla biologia dei patogeni. Dopo l'unificazione d'Italia, il sistema universitario subì una drastica riforma. In particolare, la botanica, precedentemente inclusa nella Facoltà di Medicina, fu generalmente trasferita alla Facoltà di Scienze, con la creazione di diverse nuove posizioni di professore ordinario. I risultati della nuova politica furono disastrosi per la scuola lichenologica italiana: solo De Notaris riuscì a diventare professore ordinario, ma solo in età molto avanzata, e i suoi ultimi anni all'Università di Roma furono piuttosto amari. Fu onorato come un grande maestro di botanica, ma rimase sostanzialmente isolato dal mondo scientifico e rimase privo di mezzi per svolgere le sue ricerche.
Molto diverso fu il destino di Santo Garovaglio (1805-1882), un altro importante studioso italiano di crittogame, contemporaneo di De Notaris. Garovaglio si occupò a fondo di lichenologia prima della pubblicazione delle opere di De Notaris e Massalongo ma dopo l'unificazione del paese, nel 1869, lanciò l'idea di istituire a Pavia un laboratorio specializzato nella lotta contro le malattie causate da funghi parassiti. Ciò gli valse la fiducia del Ministero dell'Agricoltura e delle autorità amministrative di Pavia, e il Laboratorio, che ebbe un lungo periodo di meritata gloria, fu creato nel 1871. L'ultima importante opera di Garovaglio dedicata ai licheni, la distribuzione dei "Lichenes Langobardiae Exsiccati", risale al 1864. A Roma, qualcosa di simile accadde qualche anno dopo la morte di De Notaris: il suo studente Giuseppe Cuboni (1852-1920), grazie alla nuova atmosfera culturale, fu nominato direttore della Regia Stazione di Patologia Vegetale di Roma dove fu creato un grande campo sperimentale, mentre il nuovo Orto Botanico di Panisperna, promesso per anni al povero De Notaris, non riuscì a vedere la luce poiché le autorità non poterono, o non vollero, allontanare alcuni giardinieri dal terreno che avrebbe dovuto ospitarlo. Le disgrazie politiche della tassonomia ebbero come conseguenza che nessuno dei grandi lichenologi italiani riuscì a inserirsi nel nuovo sistema universitario: alcuni di loro, essendo nobili o sacerdoti, erano completamente estranei all'ambiente accademico mentre quelli che erano già entrati nelle università, come F. Zanfrognini a Modena e F. Baglietto, che era assistente di De Notaris a Genova, non furono in grado di avanzare nella loro carriera, e furono quindi incapaci di ccreare una scuola che continuasse i loro studi. La "Flora Italica Cryptogama" di Jatta (1909-1911) appare oggi non come un nuovo punto di partenza ma come un'opera conclusiva, una sorta di pietra tombale deposta sul "Periodo d'oro" della lichenologia italiana, che in breve tempo fu portata all'estinzione quasi completa a causa del mutato clima politico, economico e culturale.
Da una revisione della letteratura lichenologica della prima metà del XX secolo, si rimane colpiti dall'elevato numero di autori che pubblicarono alcuni articoli sui licheni all'inizio della loro carriera e improvvisamente abbandonarono questo campo. Ciò è probabilmente una conseguenza della scomparsa di una vera scuola lichenologica e delle difficoltà incontrate dai giovani botanici nel proseguire gli studi lichenologici. La decadenza della lichenologia italiana è evidente nella scarsità di figure davvero importanti durante questo periodo. Si possono citare quattro principali lichenologi: Eva Mameli Calvino (1886-1978), Maria Cengia-Sambo (1888-1939), Camillo Sbarbaro (1888-1967) e Ruggero Tommaselli (1920-1982). Gli unici fili conduttori che legano la vecchia tradizione lichenologica agli anni più recenti possono essere individuati nel fatto che Sbarbaro fu introdotto alla lichenologia da G. Gresino (1859-1946), un sacerdote che era in contatto con Baglietto, il quale morì nel 1916 all'età di 90 anni, mentre Eva Mameli-Calvino, nella prima parte della sua carriera, lavorava al "Laboratorio Crittogamico" dell'Università di Pavia fondato da Garovaglio nel 1871.
Eva Mameli Calvino, che per inciso era la madre del famoso scrittore Italo Calvino, fu la prima donna italiana a diventare professore universitario, prima all'Università di Catania e poi a quella di Cagliari nella sua nativa Sardegna. Fu introdotta alla lichenologia presso il "Laboratorio Crittogamico" dell'Università di Pavia, dove lavorò come assistente del direttore Giovanni Briosi (1846-1919). Nella prima parte della sua carriera pubblicò una dozzina di articoli dedicati ai licheni, provenienti non solo da varie parti d'Italia ma anche dalle nuove colonie italiane nel Nord Africa e in Eritrea, dopo di che spostò i suoi interessi verso la genetica e la fitopatologia applicate alle piante ornamentali.
Maria Cengia-Sambo era un'insegnante di scuola che presto si dedicò allo studio dei licheni: lavorò prima a Urbino, poi a Firenze, e raccolse molto materiale, soprattutto nelle Alpi Italiane. Negli ultimi anni pubblicò anche alcuni articoli su licheni provenienti da territori extraeuropei. Il principale punto debole di Cengia-Sambo era probabilmente il suo isolamento: come lichenologa, era completamente sola nel mondo accademico italiano ed ebbe la sfortuna di produrre gran parte del suo lavoro nel periodo molto difficile che seguì la prima guerra mondiale. Inoltre non riuscì mai a ottenere una posizione all'interno di un'università, il che rese ancora più difficile il contatto con importanti lichenologi stranieri. Aveva un vivo interesse per l'ecologia dei licheni e molti dei suoi numerosi articoli contengono spunti interessanti; alcune delle sue osservazioni di licheni, tuttavia, sembrano piuttosto dubbie.
Anche Camillo Sbarbaro era completamente isolato dal mondo accademico e, come Cengia-Sambo, non lasciò la scuola. Sbarbaro era una personalità molto interessante, e attualmente è considerato tra i classici della poesia italiana moderna; il suo interesse per i licheni era principalmente estetico e alcuni dei suoi scritti in prosa dedicati a questi organismi sarebbero degni di essere tradotti in altre lingue. Pur non essendo uno specialista, aveva un occhio molto acuto e riunì un importante erbario che, per mancanza di denaro, fu costretto a vendere, almeno in parte, a istituzioni straniere. A differenza di Cengia-Sambo, tuttavia, Sbarbaro era in stretto contatto con diversi lichenologi stranieri, ai quali inviò gran parte del suo materiale per l'identificazione. Per questo motivo i licheni da lui raccolti figurano tra le poche collezioni italiane della prima metà del XX secolo citate nelle monografie moderne. I pochi articoli scientifici pubblicati da Sbarbaro, che sintetizzano i risultati delle sue ricerche, principalmente in Liguria e nel nord della Toscana, sono i migliori contributi floristici riguardanti l'Italia apparsi in questo periodo.
Fino agli anni '80 del secolo scorso, l'unica attività lichenologica svolta all'interno di un'università era quella di Ruggero Tomaselli, eminente botanico molto versatile, che per un certo periodo fu anche presidente della Società Botanica Italiana. La produzione lichenologica di Tomaselli, tuttavia, non può essere considerata importante per il progresso di questa disciplina. Egli pubblicò molto poco sulla floristica dei licheni e non fondò una scuola di lichenologia; durante gli ultimi anni della sua vita, la lichenologia si estinse praticamente nelle università italiane.
All'estero, tuttavia, la situazione era molto diversa e, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, la lichenologia conobbe una crescita straordinariamente intensa in diversi paesi Europei. Gli effetti di questa situazione si avvertirono anche nelle Università Italiane e negli anni '70 diversi giovani botanici italiani iniziarono a impegnarsi nello studio dei licheni. Un primo corso di lichenologia fu organizzato a Trieste nel 1986 e vide la partecipazione di 30 persone provenienti da ogni parte d'Italia. In quell'occasione fu deciso di fondare una Società Lichenologica ltaliana, il cui primo incontro si tenne a Trieste nel 1987. Un grande interesse fu suscitato, a livello nazionale, dalle attività della Società nel monitoraggio dell'inquinamento atmosferico con licheni e nello studio dell'interazione tra licheni e monumenti. Attualmente, la Società continua un'intensa attività che comprende l'organizzazone di corsi ed escursioni e la pubblicazione di un Notiziario.
Gli ultimi sviluppi sono troppo recenti per essere trattati in una prospettiva storica. In ogni caso, tra il 1983 e il 2016 i lichenologi italiani hanno prodotto oltre 1000 lavori dedicati ad aspetti molto diversi della biologia dei licheni, con un elevato numero di articoli su riviste internazionali, in particolare nei settori dell'ecologia e della fisiologia.