Il roseto di S. Giovanni a Trieste

L’origine del Manicomio di Trieste

Il manicomio di San Giovanni a Trieste venne pianificato sotto l’Impero Austro-Ungarico a partire dal 1896, sulla base di un Programma Medico che offriva una guida ad ingegneri ed architetti che avrebbero partecipato al concorso internazionale bandito dal Comune di Trieste l’anno dopo. Il Programma indicava chiaramente l’obiettivo di costruire un manicomio moderno, aderente alla modalità del sistema delle ‘porte aperte’, un chiaro riferimento alle teorie praticate in Inghilterra e Germania e rispondente a un nuovo modo di gestire la malattia mentale: padiglioni singoli disposti in un ampio spazio verde ben curato, ove l’architettura è parte integrante di un progetto terapeutico, offrendo ai ricoverati l’idea di non essere prigionieri, ma di abitare in un frammento della città. L’incarico per la progettazione fu affidato all’architetto Lodovico Braidotti (1865-1939) e nel mese di maggio del 1902 il progetto di massima venne discusso e approvato. La planimetria ideata da Braidotti rispecchiava le indicazioni della committenza di definire un sistema misto, con zone rispondenti ai criteri delle ‘porte aperte’ ed altre regolate da una simmetria più evidente. La portineria su via San Cilino segnava l’itinerario, che iniziava a valle con la parte aperta al pubblico e terminava con il padiglione di Amministrazione, dietro al quale inizia il settore "clinico" con edifici riservati ai pazienti. Il viale centrale scandiva la progressione terapeutica con i padiglioni di osservazione, ai quali seguivano quelli per i semi-agitati, gli agitati e infine i suicidi e paralitici. Il terrapieno con la zona dei servizi comprendeva cucina, lavanderia, centrale termica e edificio per la disinfezione oltre al teatro che, a detta dei medici, doveva svolgere un importante ruolo terapeutico. A questa zona seguivano i Padiglioni dei Tranquilli e il Villaggio del Lavoro che ha come baricentro la chiesa. Infine, presso l’uscita su via Valerio, sorgevano isolati i due padiglioni per le malattie contagiose e la necroscopia. Vienna e la sua avanzata cultura architettonica erano un riferimento costante per la scena urbana triestina, e con il progetto del Braidotti Trieste si confermava città d’avanguardia, con una spiccata attitudine all’innovazione. Non è un caso che per gli edifici del manicomio Braidotti avesse impiegato il calcestruzzo armato. La suddivisione per aree del manicomio si rifletteva anche sulle scelte architettoniche, iniziando con il revival neo-fiorentino degli edifici situati nella zona aperta al pubblico (le cornici in maiolica che Braidotti volle secondo lo stile di Andrea Della Robbia) sino agli elementi più moderni dei padiglioni clinici, mentre nel Villaggio del Lavoro l’architettura assume una connotazione ‘rustica’, con tetti a spiovente e balconi in legno. L’ utopia del primo progetto prevedeva l’abolizione dei muri, ma a un anno dall’inaugurazione il Comune, pur con rammarico, provvide a recintare i padiglioni.

Franco Basaglia e la nuova psichiatria

Il Manicomio di Trieste continuò le sue funzioni anche dopo la prima guerra mondiale ed il passaggio di Trieste all’Italia. Nell’agosto del 1971 Franco Basaglia (1924-1980) ne divenne direttore, istituendo subito laboratori di pittura e di teatro ed una cooperativa di lavoro per i pazienti, che così cominciarono a svolgere lavori riconosciuti e retribuiti. Basaglia sentiva però il bisogno di andare oltre la trasformazione della vita all’interno dell’ospedale psichiatrico: il manicomio andava chiuso ed al suo posto era necessario costruire una rete di servizi esterni per provvedere all’assistenza delle persone affette da disturbi mentali. Secondo Basaglia la psichiatria doveva cessare di giocare un ruolo nel processo di esclusione del ‘malato mentale’ e così nel 1973 Trieste fu designata ‘zona pilota’ per l’Italia nella ricerca dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità sui servizi di salute mentale. Nel gennaio 1977 viene annunciata la chiusura del manicomio ‘San Giovanni’ di Trieste entro l’anno. L’anno successivo, il 13 maggio 1978, in Parlamento viene approvata la legge 180 di riforma psichiatrica, una legge rivoluzionaria a livello internazionale, nella cui formulazione le attività svolte da Basaglia a Trieste giocarono un ruolo fondamentale.

Il recupero del Parco di S. Giovanni

A seguito della chiusura dell’Ospedale Psichiatrico, gran parte degli immobili, inutilizzati, furono abbandonati al loro destino con il conseguente progressivo degrado delle strutture dovuto anche ad episodi, tutt’altro che sporadici, di vandalismi conseguenti all’assenza di alcuna forma di controllo sugli accessi al comprensorio che, dopo l’apertura al traffico della viabilità interna, risulta accessibile a chiunque sia di giorno che di notte. La Provincia di Trieste ha ceduto otto edifici di sua proprietà all’Università degli Studi di Trieste, parte dei quali già recuperati, e ha recentemente riconsegnato alla città il Teatrino di San Giovanni (intitolato, il 21 luglio 2010, a Franco e Franca Basaglia), dopo aver provveduto alla sua ristrutturazione e al recupero funzionale del sito. La valorizzazione dell’intero comprensorio, che, architettonicamente, si presenta come un insieme quasi omogeneo e rappresenta una delle aree vissute più interessanti di Trieste, ha assunto una connotazione organica pur nelle diversità istituzionali dei singoli enti presenti sull’Area (Provincia, Azienda Sanitaria, Università, Comune di Trieste).
Il Parco di San Giovanni, al momento del suo recupero e ristrutturazione funzionale, si presentava come un’area in parte degradata e non ben mantenuta, nel quale solo alcuni scorci di aiuole formali e i viali richiamavano la scenografia spiccatamente architettonica, che Lodovico Braidotti volle originariamente dare. Fu necessario liberare il parco da numerose piante arboree infestanti e da un fitto sottobosco, per rendere nuovamente visibili e far meglio risaltare i grandi alberi. Ciò venne fatto soprattutto nella parte bassa, a ridosso di Villa Bottacin e di Villa Renner, lasciata dal Braidotti nello stile inglese preesistente. Gli alberi sono stati utilizzati soprattutto per i viali alberati come elemento strutturale principale e rappresentano tuttora l’ossatura portante del parco, così come immaginata dal Braidotti.
Oggi il comprensorio dell’ex Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste è costituito da un parco inserito nella struttura urbana del rione cittadino di San Giovanni, dal quale è separato da un muro di cinta perimetrale. Il parco ha un’estensione di circa 22 ettari ed ospita al suo interno 40 edifici di varie dimensioni, collegati tra loro ed alla rete urbana cittadina da una rete viaria interna con due accessi veicolari e pedonali, uno in via San Cilino ed uno sulla via Valerio (SS.14).

Il Roseto di S. Giovanni

La graduale trasformazione di questo luogo è avvenuta tenendo conto delle esigenze di utilizzabilità per il visitatore, di visibilità e di sicurezza, per dare la necessaria tranquillità. In omaggio alla rosa, scelta dal Braidotti come pianta ornamentale predominante, anche l’attuale parco valorizza tale pianta, che bene rappresenta il nesso tra il passato ed il presente.
Il roseto del Parco di San Giovanni fu inaugurato il 3 ottobre del 2009. Esso sin dall’inizio ospitava quasi 5000 varietà di rose e fu realizzato con la collaborazione della Cooperativa Agricola San Pantaleone, grazie al finanziamento della Regione Friuli Venezia Giulia finalizzato al recupero delle aree verdi del Comprensorio. Il Progettista del roseto, il Dr. Vladimir Vremec intese realizzare un giardino contemporaneo, un roseto del 2010, e non un giardino più o meno tradizionalista. La collezione di rose presenta quindi il meglio della produzione corrente, ma anche del passato, con rose che non si trovano sul mercato. L’idea è quella di fare di questo roseto uno dei più significativi d’Italia. A San Giovanni si possono ammirare rose dedicate a personaggi famosi e altre interessanti, oltre che per la loro bellezza, perchè ottenute in periodi storici importanti. Sono presenti molte varietà ottenute da ibridatori europei come inglesi, tedeschi, francesi, olandesi e altri ma anche americane e giapponesi. Molte sono le rose italiane difficili da reperire attualmente.
Entrando da via San Cilino, dall’ingresso inferiore del comprensorio, un ideale percorso si snoda attraverso la viabilità per sentieri, scale e viali alberati, tra prati e aiuole, in un susseguirsi di varietà di piante e rose antiche per giungere alla parte superiore, dove sono posizionate le rose moderne. Attraverso il Viale delle Camelie, sotto Villa Renner, oppure entrando dal Vicolo dei Roveri, ci si addentra nelle aree che ospitano le collezioni di rose antiche. Nelle aiuole realizzate nei pressi di Villa Bottacin, dove dimorano anche le quercie più maestose del parco, sono presenti le rose delle classi ‘Alba’ ed ‘Ibridi Perenni’. Nel terrazzamento superiore, sotto il padiglione dell’ex Gregoretti, sono collocate le classi ‘Gallica’, ‘Centifolia’, ‘Damascena’ e ‘Centifolia Muscosa’ e le rose botaniche su ambedue i bordi delle scarpate. La scarpata più soleggiata, esposta a ovest, è ricoperta da iris di vario colore.
A fianco del padiglione ex Gregoretti le aiuole parallele ospitano rose antiche delle classi ‘Chinensis’, ‘Tea’, ‘Ibridi Perenni’, ‘Rugosa’, ‘Canina’ ed altre ancora. Lungo la rete perimetrale sono collocate rose rampicanti di varie classi, tra loro, diverse rose botaniche, più ibridi di rose botaniche. Quest’ultime sono presenti anche sulla scarpata della strada che dall’ingresso del Vicolo dei Roveri porta verso il padiglione ex Gregoretti, accompagnate da cespugli sempreverdi di Ceanothus. Diversi ibridi di ‘Rugosa’ si incontrano lungo il muro del giardinetto dedicato ai cani, assieme a rose rampicanti prevalentemente delle classi ‘Banksia’, ‘Gigantea’ e ‘Bracteata’, che si inerpicano sugli archi metallici che accompagnano il vialetto.
Nell’area del giardinetto destinato ai cani si trova una serie di varietà della classe di rose ‘Portland’. Sopra lo stesso una collezione di rose ‘Bourbon’ e nelle vicinanze dei grandi lecci, a ridosso dell’area che ospita coltivazioni orticole, una collezione di vecchie varietà di ‘Ibridi di Moschata’ (le nuove e più recenti varietà si trovano nel roseto che ospita le rose arbustive rifiorenti nella parte alta, verso Via Valerio).
Altre rose si trovano nelle vicinanze dell’edificio di via Sai, davanti il Distretto 4 lato sud. Intorno ai posteggi della Clinica Psichiatrica e del Distretto n.4 sono collocate, alla base di strutture metalliche a forma di ‘L’ capovolta, delle rose rampicanti, sia ‘Ibridi di Tea’ che rose a mazzetti. Nella zona soprastante la Clinica Psichiatrica le aiuole di rose sono alternate a prato e disposte perpendicolarmente alla strada. Queste aiuole ospitano alcune classi di rose botaniche raggruppate nelle Synstilae ovvero ‘Hugonis’, ‘Kordesii’, ‘Luteae’, ‘Multiflorae’, ‘Wichurianae’, ‘Spinosissimae’ e ‘Noisette’, alcune di queste dimoranti anche sulla scarpata che fiancheggia uno dei padiglioni di Scienze della Terra.
La scarpata sottostante la curva a U, nei presi dell’inceneritore, ospita alcune delle varietà più vecchie tra le rose coprisuolo e funge da congiunzione tra le rose antiche della parte bassa del parco e le rose moderne della parte alta. Sopra lo scalone monumentale, nell’aiuola rettangolare, sono state messe a dimora graminacee ornamentali attorno a gruppi di rose a cespuglio e diversi cespi a fioritura estiva. Le scarpate nelle adiacenze del Teatro sono ricoperte da rose coprisuolo, in gran parte il terreno è stato ricoperto con telo pacciamante.
Nella parte più alta sono collocate quasi esclusivamente rose moderne (salvo che nelle adiacenze del Posto delle Fragole che ospita diverse varietà di rose antiche rifiorenti). In omaggio all’epoca della costruzione dell’ex Ospedale Psichiatrico è stata sistemata, nella grande area prativa tra via Weiss e via Bottacin, una collezione di rose ottenute nel periodo Liberty e/o Art Noveau (1888-1925). Queste rose sono collocate in aiuole simmetriche e speculari ai lati del sentiero accompagnato da archi rivestiti di rose rampicanti dell’epoca. Altre rose rampicanti dell’epoca si trovano anche appoggiate alle strutture verticali metalliche lungo via Bottacin. Le diverse rose sarmentose, dette ‘Rambler’, sono state piantate ai piedi degli alberi.
Nell’ampia area soleggiata a terrazze, sotto il Padiglione H, all’estremità nord-est del parco, si trova la parte più grande del roseto, dedicata alle rose moderne più note: Ibridi di Tea, rose a mazzetti, rose rampicanti inframmezzate a clematidi e a graminacee ornamentali, ma anche, dato il microclima a ridosso del muro perimetrale in arenaria, a cespugli di Cistus e Phlomis. Il roseto è costituito da aiuole parallele divise da un viale centrale con strutture metalliche verticali per le rose rampicanti e da un vialetto diagonale con bordura della graminacea Eragrostis elliottii ‘Wind Dancer’ che porta alle aiuole perimetrali con le rose rampicanti. Le scarpate, sia in questa parte che sulla terrazza che funge da belvedere, ospitano singole varietà di rose coprisuolo inframmezzate da rosmarini striscianti. Completano l’area isole di tappeto erboso con disegno trapezoidale e triangolare. Dall’area degli Ibridi di Tea (ca. 1000 varietà suddivise in ordine cronologico, per buona parte provenienti dal Roseto Botanico Carla Fineschi di Cavriglia) si passa, con l’inversione delle aiuole parallele, di cui una sistemata a prato, alla collezione di rose a mazzetti, parimenti disposte in ordine cronologico, dalle più vecchie alle più recenti.

Prospettive future

Durante il 2012 è prevista la realizzazione di una collezione di rose cinesi moderne là dove attualmente è ospitato un prato naturale fiorito (che in parte verrà mantenuto sui bordi), in omaggio al ruolo della Cina nella storia delle rose moderne nate da incroci con le Rose Tea. Purtroppo potranno essere ospitate solo una parte delle oltre 350 varietà di rose cinesi moderne. Si tratterà della prima collezione di rose cinesi moderne fuori dalla Cina. Inoltre il parco verrà arricchito con un Giardino della Memoria nell’area adiacente alla Villa Renner, sede della Direzione dell’ASL triestina, e con un albero di caco sopravvissuto all’esplosione della bomba atomica a Nagasaki, per ricordare il tragico evento del 9 agosto 1945. L’area di forma circolare ospiterà su oltre metà dello spazio piante di Azalee a fiore bianco e rosa e nelle vicinanze un gruppo di rose giapponesi moderne con fiori di colore bianco a ricordare l’altro tragico evento, quello di Hiroshima del 6 agosto dello stesso anno.
Nell’area tra il padiglione dell’ASL di via Sai e la Villa Renner, nella parte del terrazzamento rialzato con il bordo in pietra di arenaria, è prevista la creazione di una collezione di rose italiane, frutto della consolidata collaborazione con il Roseto Botanico Carla Fineschi di Cavriglia.
E’ in programma la sistemazione di un giardino di rose giapponesi moderne nell’area tra lo Spazio Villas e le vecchie stalle. Verranno utilizzati arredi (aste di bambù colorato) e materiali lapidei in chiave moderna (plote di arenaria di recupero) per l’accesso alla collezione, e blocchi di pietra carsica al centro dell’area coperta da ghiaino di calcare in grado di ricreare un’atmosfera vagamente Zen.
Anche per quanto riguarda le potature delle singole classi di rose, si prospettano nuove vie e metodi di ricerca più rispettosi dell’aspetto caratteristico delle singole classi di rose. Si sono avviati rapporti di collaborazione con le associazioni di appassionati di rose di tutta la regione e anche della vicina Slovenia, mettendo anche a confronto le singole pratiche di manutenzione. Anche in questo caso vi è un interesse a trovare metodi di manutenzione meno costosi e, nel contempo, più rispettosi del naturale aspetto di ogni singola classe di rose. Proprio il settore delle rose è oggi il campo di nuove tecniche di manutenzione rispettose dell’ambiente. Il roseto di Trieste, con le sue molteplici attività e funzioni, vuole essere un battistrada insieme ad altri nel mondo (ad es. Lione) verso un futuro ecosostenibile. Si tratta di una vera sfida soprattutto nell’abbandono di prodotti antiparassitari e di concimi chimici dannosi per l’ambiente e per l’uomo.