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Cupressus sempervirens
L.
Il cipresso comune è un albero originario dell’Asia Minore e del Mediterraneo orientale, da tempi
antichissimi molto utilizzato in Italia sia a scopo ornamentale sia negli impianti di rimboschimento,
ma senza alcuna tendenza a spontaneizzarsi. Fu introdotto in Italia in tempi antichissimi, forse dai
Greci, e poi diffuso dagli Etruschi soprattutto in Umbria e in Toscana, dove ormai è divenuto una
parte importante ed essenziale del paesaggio colturale. In alcune isole dell’Egeo è possibile
osservare questi alberi crescere sulle coste rocciose a pochi metri dal mare (Isola di Scorpios).
Pianta poco esigente dal punto di vista della cura, può raggiungere una considerevole età. Tollera la
siccità e si adatta a qualsiasi terreno, ma è soggetto a malattie crittogamiche e a parassiti animali: il
fungo
Coryneum cardinale
Wag. ha minacciato l’esistenza dei cipressi italiani. Il cipresso è
ampiamente coltivato per il suo portamento, che lo rende adatto alla realizzazione di giardini
all’italiana e alberature stradali, siepi frangivento e rimboschimenti. Le foglie, i rami e le pigne
hanno impiego officinale, dalla corteccia si ricava per distillazione un olio essenziale usato in
profumeria. Il legno, particolarmente resistente, era utilizzato sin da tempi antichi per le costruzioni
navali, la costruzione di casse e cornici nonché di porte e portoni come le prime porte della basilica
di San Pietro. Il nome del genere è quello comune presso i Romani, derivato dal greco ‘kypárissos’,
che origina da ‘kuo’ (io genero, produco germogli) e ‘párisos’ (simile, uguale), in riferimento
all’accrescimento simmetrico della pianta. Il nome specifico in latino significa ‘sempreverde’.
Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: febbraio-maggio.
Euonymus europaeus
L.
La fusaggine comune, o berretta da prete, è una specie a distribuzione eurasiatica presente in tutte le
regioni d’Italia. Entra nello strato arbustivo dei boschi termofili di latifoglie decidue rarefacendosi a
partire dalle faggete; l’optimum è nei mantelli e nelle siepi, su suoli argillosi piuttosto freschi, ricchi
in basi e composti azotati, al di sotto della fascia montana superiore. I semi sono tossici (evonina)
ed erano usati come drastico purgante. Nel medioevo dal legno si ottenevano fusi per filare la lana,
da cui il nome italiano; i frutti e la corteccia erano utilizzati per le proprietà emetiche, purganti e
insetticide: la polvere dei frutti seccati e macinati veniva usata per combattere i pidocchi e il decotto
di frutti e corteccia era usato contro la rogna. Il nome generico deriva dal greco ‘eu’ (buono) e
‘onoma’ (nome), cioè ‘pianta con buona fama’, in senso ironico a causa della velenosità dei frutti.
Forma biologica: fanerofita cespugliosa. Periodo di fioritura: aprile-giugno.
Ficus carica
L.
Il fico è una specie originaria dell’area pontica (Turchia settentrionale, costa del Mar Nero), con
estensione a tutto il Mediterraneo, da noi di antichissima introduzione precolombiana come altre
specie legnose di interesse economico (castagno, bagolaro, noce). È presente in tutte le regioni
d’Italia, spontaneo o coltivato, dal livello del mare a 800 m circa, anche come piccolo arbusto su
muri e in stazioni rupestri soleggiate. Il frutto che chiamiamo fico è in realtà un’infiorescenza
carnosa e cava (siconio) tappezzata all’interno da piccoli fiori femminili e/o maschili privi di calice
e corolla. Quelli femminili, una volta impollinati, si trasformano nei veri frutti, cioè piccoli acheni
di aspetto granulare. In natura la disseminazione del fico è strettamente legata al ciclo vitale di un
piccolo imenottero, la
Blastophaga psenes
. Certe piante dette caprifico non producono siconi
commestibili per il fatto che questi cadono apparentemente immaturi (rimangono stopposi); in realtà
si tratta di individui con funzione maschile, i loro siconi, cioè, contengono sia fiori maschili sia fiori
femminili a stilo breve, che per tale motivo non impediscono a
Blastophaga
di raggiungerli e
trasformarli in galle per la deposizione delle uova. Quindi il caprifico è unicamente donatore di quel
polline che viene poi trasportato dall’insetto quando va a visitare altri siconi. Nei siconi di altre
piante (fichi ’femmina’), l’imenottero trova unicamente fiori femminili, questa volta in
maggioranza a stilo lungo, tali cioè da impedirgli di raggiungere gli ovari per pungerli e deporvi le
uova e nel contempo tali da costringerlo a urtare gli stigmi lasciandovi attaccati i granuli di polline
involontariamente raccolti nelle visite al caprifico. A questo punto si innesca lo sviluppo di frutti
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