Area di studio

Il Massiccio del Grappa
Il Massiccio del Grappa è ben delimitato nei suoi confini occidentali e orientali, coincidenti con gli assi fluviali del Brenta e del Piave. Il limite settentrionale segue il corso del Cismon a partire dalla confluenza nel Brenta in località Pedancino, attraversa la Sella di Arten e poi segue il torrente Stizzon fino ad Anzù e a Sanzan, dove torna a congiungersi con il Piave. Verso sud, infine, il Massiccio è delimitato rispetto ai Colli Asolani grazie al bordo della Flessura Pedemontana, che separa l’unicità tettonica cui appartiene anche il Monte Grappa, il Sovrascorrimento Bassano-Valdobbiadene, dal più meridionale e recente Sovrascorrimento di Aviano, responsabile del sollevamento delle colline pedemontane del Veneto centro-orientale. Questo confine passa vicino ai centri di Romano d’Ezzelino, Borso del Grappa, Possagno e Pederobba. Il Massiccio è un corpo compatto di forma subquadrangolare, che alcune profonde valli suddividono in dorsali culminanti nelle elevazioni di Cima Grappa (1775 m), M. Salarol (1672 m), M. Tomatico (1595 m), M. Asolone (1520 m), M. Prassolan (1482 m), M. Pallon (1305 m) ecc. Appartiene amministrativamente alle province di Belluno, Vicenza e Treviso.


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Dai prati del Monte Frontal verso Valcavasia, Colli Asolani, Piave e Montello
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Dai Salaroli verso Prassolan, Cima Tosella e i monti del trentino, al centro il profondo solco della Valsugana
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Faggeta altimontana in Val delle Mure
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I dirupi del Monte Gusella sopra la Valbrenta
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Il Monte Pertica e Conca delle Bocchette dalla Cima del Grappa
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La Costiera di Pove (Pragolin-La Croce)
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La lunga dorsale dei Solaroli fino al Fontanasecca e Tomatico, a sinistra la valle dello Stizzon (Seren del Grappa)
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Ambienti rupestri lungo il sentiero delle Aste Rosse (Valbrenta)
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Chiesa Nuova San Luigi (Valle di Seren)
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Cima Grappa dalla Val del Busetto (Cismon del Grappa)
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Conca delle Bocchette (Seren del Grappa)
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Da sinistra, Boccaor, Meatte, Archeson e Cima della Mandria (località Pusternon-Valle di San Liberale)
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Dai Colli Alti verso Cismon del Grappa, Lago del Corlo e le Vette Feltrine
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Dai resti di Malga Prassolan la vista spazia verso i Monti Solaroli e il Fontanasecca
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Dal Rifugio Forcelletto boschi e pascoli in territorio di Cismon del Grappa
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Dall'Archeson verso i Salaroli, a destra il Monte Piz
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Faggeta nel versante nord del Col della Beretta
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Fioriture di orchidee (Monte Meda)
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L'arida e rupestre Valle di Santa Felicita
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Pozza d'alpeggio della Malga Val Dumela (Alano di Piave)


Geologia
Dal punto di vista geologico, il Grappa si pone come elemento di transizione tra gli Altopiani vicentini e le Prealpi trevigiano-bellunesi vere e proprie. La successione stratigrafica inizia ovunque con la Dolomia Principale triassica, che però affiora solo nel settore più sudoccidentale, coincidente con le basse pendici aggettanti sulla Valle del Brenta, e prosegue con i membri inferiori del Gruppo dei Calcari Grigi del Giurassico inferiore. Da questo punto in poi, la geologia del Monte Grappa diviene disomogenea per lo smembramento dell’area in due domini ben distinti, raccordati da una ripida scarpata: la Ruga Trentina, un altofondo esteso verso est fino al Monte Baldo, e il profondo Bacino Bellunese. I due settori ebbero evoluzione completamente differente (Carraro & al. 1989). Nel settore occidentale, la serie stratigrafica è sovrapponibile a quella dei vicini Altopiani Vicentini, con i Calcari Grigi (spesso in facies oolitiche ed encrinitiche) direttamente sovrastati dal Rosso Ammonitico. In quello orientale, invece, nello stesso intervallo di tempo si depositarono, in successione: le Dolomie Selcifere nettamente stratificate, la Formazione di Igne, composta da calcari dolomitici e noduli di selce, facilmente erodibile e contraddistinta morfologicamente da terrazzi, il Rosso Ammonitico Inferiore, il Calcare del Vajont, formato da dolomie e calcari oolitici massicci in buona parte di origine torbiditica ed evidenziato da cornici e pareti rupestri, e la Formazione di Fonzaso, formata da calcari selciferi derivanti dallo smantellamento della scogliera marginale della Piattaforma Friulana. Solo alla fine del Giurassico, con il livellamento della batimetria e lo sprofondamento della Ruga Trentina, tutta l’area riconquistò la sua uniformità, marcata dalla continuità del Rosso Ammonitico superiore con i caratteristici calcari nodulari che formano evidenti cornici, e dalle sovrastanti Maiolica e Scaglia Rossa, con litologie ed effetti morfologici dolci e del tutto simili a quelli di altre zone prealpine. Tutti i livelli più recenti sono stati asportati dall’erosione, eccetto piccoli areali di affioramento di rocce terziarie di vario tipo (calcari, arenarie, marne ecc.) ai margini del rilievo.

Clima
Il clima è tipicamente prealpino, con temperature medie annue variabili dai 12,8 °C di Bassano del Grappa, ai 10,8 °C di Seren del Grappa e ai 3,3 °C di Cima Grappa e piovosità piuttosto elevate (1188 mm a Bassano del Grappa ma già 1383 mm a Cismon, 1411 mm a Borso, 1473 mm a Seren e 1610 mm a Cima Grappa) e concentrate soprattutto nelle stagioni intermedie.

Vegetazione forestale
La vegetazione forestale della fascia temperata inferiore è dominata da carpino nero e orniello, con le querce (in particolare la roverella) nettamente subordinate. La forma mesofila dell’ostrio-querceto è poco diffusa e localizzata, mentre sono nettamente più frequenti gli aspetti xerofili riferibili alle diverse varianti dell’orno-ostrieto. Come ovunque sulle Prealpi, queste formazioni sono spesso pioniere su ex prati aridi o addirittura ex coltivi. Nettamente più rari sono i boschi a carpino bianco, sempre però con Ostrya, localizzati in poche vallecole e nei versanti esposti a nord. Più spesso, nelle stazioni adatte al carpino sono invece presenti castagneti, favoriti in passato dall’uomo nonostante la natura calcarea di tutto il territorio, che occupano vaste superfici su molti versanti (Rasai, Tomatico, Monfenera, Borso). Nelle forre sono riconoscibili l’orno-ostrieto con tiglio e l’aceri-tiglieto. Molto diffusi in certe aree sono anche i corileti, ad esempio in Valle di Schievenin, che hanno occupato ampie superfici un tempo prative (Lasen 2008). La fascia temperata superiore è dominata dalle faggete, da quelle a Ostrya nelle zone più basse, soleggiate e antropizzate, attraverso quelle submontane, quelle montane propriamente dette fino a quelle altimontane, che ricoprirebbero la vetta se non fossero state eliminate dall’uomo per far posto ai pascoli. Se la presenza delle conifere è spesso importante, ciò è dovuto soprattutto al favore riservato loro dai selvicoltori; tuttavia il alcune zone possono essere riconosciute come paranaturali, ad esempio le faggete con abete bianco e i veri e propri abieteti (Lasen in Busnardo & Lasen 1994). I cespuglieti subalpini, quasi sempre pionieri su ex pascoli e occupanti aree potenzialmente coperte dal bosco, sono complessivamente poco estesi. Le mughete ricoprono poche stazioni cacuminali, canaloni e falde detritiche attive, mentre sono più frequenti i saliceti a Salix appendiculata e Salix glabra. Sono rarissime le formazioni dominate dall’ontano verde.

Vegetazione erbacea
Le vegetazioni erbacee, un tempo assai più diffuse soprattutto alle quote medio-basse, sono in buona parte scomparse a seguito dell’abbandono, accompagnato dall’avanzata del bosco. Particolarmente pregiati, per la loro composizione floristica, sono i prati aridi dei bassi versanti con marcata impronta illirico-mediterranea, i pendii rupestri di quota medio-alta, spesso dominati dall’endemica Festuca alpestris, e gli orli termofili, molto diffusi a seguito della rapida riconquista del bosco. Un notevole contributo paesaggistico è dato dai prati pingui da sfalcio ad Arrhenatherum elatius, che però sono ormai limitati ai dintorni dei paesi e ad alcune valli come la Val Schievenin. Nel settore sommitale sono molto estesi e ben conservati i pascoli delle malghe, molte delle quali sono ancora monticate, mentre i seslerieti occupano superfici limitate su suoli detritici e in stazioni cacuminali, spesso a quote inferiori rispetto al loro normale optimum (Lasen 2008). Le rupi sono molto estese a tutte le quote favorite dalle differenze di erodibilità tra le varie formazioni rocciose, mentre i macereti sono limitati a piccole superfici presso la vetta e in alcuni canaloni. Gli ambienti umidi, anche a causa del diffuso carsismo, sono limitati alle pozze d’alpeggio delle malghe e alle sponde dei fiumi Brenta e Piave.

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Campanula glomerata
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Neotinea tridentata
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Centaurea scabiosa
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Achillea millefolium
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Chamaeris graminea
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Helleborus niger
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Potentilla alba
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Erythronium dens-canis & Anemonoides nemorosa
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Linum narbonense
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Orchis mascula
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Dianthus carthusianorum
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Galanthus nivalis
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Achillea millefolium
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Dianthus hyssopifolius
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Pulsatilla montana
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Pulmonaria officinalis & Primula vulgaris

Acquerelli di Marilena Fontana – Le piante del Prato di Schiba (versante meridionale del Massiccio del Grappa)

Storia dell’Esplorazione botanica
(testo ripreso, con piccole modifiche, da Busnardo 1994b)
Chi fu il primo ad addentrarsi nel Grappa con interessi botanici? Difficile a dirsi. È però possibile delineare l'epoca nella quale comparvero sul Massiccio i primi "cacciatori di erbe": gli anni a metà del XVI secolo. Era il periodo successivo al Rinascimento e anche la scienza dei vegetali ne aveva ricevuto un benefico rinnovamento. I primi erbari fatti di erbe essiccate (e non più dipinte o disegnate) e i primi Orti Botanici nacquero proprio allora. In entrambi i casi, la ricerca diretta delle erbe diveniva una necessità. Non si ritenevano più sufficienti le figure e le nozioni trasmesse dai testi dei classici ma si voleva vedere la pianta "in carne ed ossa". Questo sarà stato il motivo che spinse il celebre Pier Andrea Mattioli (1501-1578) a compiere quel viaggio in Valbrenta che portò alla scoperta del magnifico fiore (Primula matthioli) che successivamente a lui venne dedicato (Curti & Scortegagna 1992). C'è anche una data precisa, ossia un preciso riferimento temporale per queste prime ricerche, ed è contenuta nell'erbario di Gaspare Ratzenberger a proposito di Adiantum capillus-veneris raccolto nei pressi di Arsiè: 10 maggio 1559 (Lasen 1985). E c'è una terza figura da ricordare tra questi pionieri: Prospero Alpini (1553-1616). A lui va il merito della scoperta in Valle S. Felicita, nei primissimi anni del XVII secolo, di una nuova specie di campanula che descrisse come Campanula pyramidalis minor e che poi, dopo vicissitudini nomenclaturali, venne denominata Adenophora liliifolia (Alpini 1624, Busnardo 1987). Iniziò in questo modo la lunga vicenda dell'esplorazione botanica del Massiccio. Una storia complessa, ricca di figure e di studi, che nelle righe seguenti racconteremo solo per sommi capi. Ma dalla quale non si può prescindere, anche come doveroso atto di riconoscenza verso chi ha posto le basi per le attuali conoscenze di cui tutti possiamo godere. Per eventuali approfondimenti, si rimanda alle fonti bibliografiche che via via verranno citate.
Per i due secoli seguenti, i viaggi botanici che toccarono il bassanese e le pendici del Grappa furono pochi. Ma, alcuni, molto significativi. Venne ad esempio John Ray (1627-1705), grandissimo naturalista inglese, e venne Giulio Pontedera (1688-1757), prefetto all'Orto botanico di Padova. Nei loro intenti non c'era tanto l'esplorazione di questa o quella valle ma una più generale raccolta di erbe e di informazioni per arrivare alla compilazione delle loro opere così importanti nella storia della classificazione dei vegetali (Ray 1686, Pontedera 1718). Perché quella era una delle poste in gioco tra gli studiosi di quell'epoca: ideare un metodo convincente e generalizzabile per catalogare e strutturare gerarchicamente ogni forma di vita. Quelle di Ray e Pontedera furono opere di grande diffusione e, tra una citazione e l'altra, cominciarono così anche a far conoscere qualche località dei monti del bassanese. Assieme a loro, per aver lambito in varia misura il Grappa, vanno poi ricordati i viaggi di Paolo Boccone (1633-1704), Pier Antonio Micheli (1679-1737) e Antonio Tita (1657-1729).
Un terzo periodo, forse il più fecondo quanto ad indagini, inizia sul finire del XVIII secolo. Le innovazioni nella sistematica, che trovarono in Carlo Linneo (1707-1778) la più lucida sintesi, unite al diffondersi del pensiero illuminista, che spingeva gli studiosi ad uscire dal chiuso di aule e laboratori, ebbero come effetto un rapido moltiplicarsi di esplorazioni a scopo botanico. Nel Grappa, sono due le figure che iniziano a fare scuola e a lanciare l'esempio: Gian Battista Brocchi (1772-1826), bassanese, e Kaspar Maria von Sternberg (1761-1838), nobile boemo (Brocchi 1796, Sternberg 1804). Troveranno presto proseliti in loco. Ma da tante altre cittadine venete e trentine vengono in molti ad erborizzare nel Massiccio. Ciascuno di loro meriterebbe ampie considerazioni, ma per i motivi già esposti ci limitiamo a ricordarne i nomi: Francesco Ambrosi (1821-1897), John Ball (1818-1889), Giambattista Baseggio (1790-1861), Francesco Beltramini de Casati (1828-1903), Nicolò Contarini (1780-1849), Roberto De Visiani (1800-1878), Pietro Favero (1812-1890), Giuseppe Fracchia (1797-1869), Giovanni Larber (1786-1845), Giuseppe Moretti (1782-1853), Ferdinando Paterno (1779-1852), Francesco Facchini (1788-1852), Federico Mayer (1788-1828), Arturo Rossi (1859-1891), Alessandro Spranzi (1802-1890) e Giovanni Zanardini (1804-1878).
Cosa produce tutto questo fervore di viaggi e ricerche? Non è facile a dirsi. Buona parte delle persone sopra citate avevano concepito le proprie escursioni soprattutto per conoscere il luogo ed aumentare il proprio bagaglio di conoscenze. Non è noto se in qualcuno ci fosse un intendimento più ambizioso. Lo sbocco più concreto fu soprattutto l'arricchimento degli erbari personali e solo raramente la pubblicazione di notizie a stampa. Quando ciò avvenne (Ambrosi 1854-1857, Ball 1868, Facchini 1855, Moretti 1815) si trattò sempre di citazioni all'interno di lavori a carattere più generale. Però la quantità di nuove acquisizioni, pur se disperse e frammentate in collezioni private, fu indubbiamente notevole. E l'effetto che produsse fu quello di far ulteriormente lievitare l'interesse per questa montagna.
In mezzo a questo grande fervore botanico, una menzione speciale spetta a due bassanesi: Giovanni Montini (1802-1854), farmacista, e Alberto Parolini (1788-1867), nobile e possidente. Sarà stato l'amore per la montagna di casa, sarà stato che nella loro città si respirava un forte anelito culturale, fatto sta che la mole delle loro ricerche fu notevolissima. I loro erbari, fortunatamente ancora ben conservati nel Museo Civico della città natale (Busnardo 1987-1988, 1988, 1989, 1990a, 1991a, 1993, 1994, Lasen & Busnardo 1988-1989, 1993), contengono un pregevole inventario della flora del Massiccio. Se solo avessero messo un po' d'ordine e dato alle stampe un catalogo, avrebbero anticipato di decenni certe tappe delle conoscenze. Ma il loro contributo al progresso dell'esplorazione botanica si concretizzò anche in un'altra direzione. Era quella l'epoca della compilazione delle prime "Flore d'Italia" da parte di Antonio Bertoloni (1775-1868) e Filippo Parlatore (1816-1877). Come avrebbero potuto quei due illustri botanici, rispettivamente da Bologna e Firenze, arrivare a raccogliere la necessaria e puntigliosa documentazione sui patrimoni floristici d'ogni regione della penisola? Eravamo nella prima metà del XIX secolo, e le notizie giravano in carrozza e non per internet. Una rete di affidabili collaboratori periferici era indispensabile. E questo fu proprio il ruolo del Montini e del Parolini (e di molti altri, naturalmente). Del farmacista bassanese si conserva anche all'Erbario Centrale Italico di Firenze una raccolta di 928 specie "dalle Alpi bassanesi" donata appositamente per raccogliere l'invito del Parlatore a far nascere in quella città una grande collezione che potesse essere di riferimento per tutti i botanici. Questo fervente periodo di ricerche lascia un'eredità poliedrica. Erbari, manoscritti, saggi a stampa ed epistolari ci consegnano un quadro conoscitivo che, se pur frammentario e disperso, è pur sempre ricchissimo. Ma anche intriso di problematiche. Non tutte le indicazioni di erbe osservate appaiono oggi verosimili. Tanto più che spesso molte collezioni, comprendenti i campioni da controllare, sono andate perdute o disperse (Busnardo 1993). Ma laddove queste raccolte esistano ancora, sono un fondamentale e irrinunciabile punto di partenza per accertare non solo la veridicità delle segnalazioni stesse ma anche per scoprirne altre spesso passate del tutto inosservate. E’ ciò che è emerso proprio dalla revisione dell'erbario Montini (Lasen & Busnardo 1988-1989, 1993): molti dubbi sono stati finalmente risolti portando a una rivalutazione della stessa figura dell'autore.
Con le escursioni di Giacomo Bizzozzero (1852-1885), modesto ma valido erborizzatore, possiamo iniziare a delineare un quarto periodo in questa scoperta botanica del Massiccio. Figlio del custode del giardino di Jacopo Cabianca alla Longa di Schiavon (Vicenza) e poi lui stesso assistente all'Orto Botanico di Padova, fu nel Grappa più volte nel 1878 (Bizzozzero 1879, 1882, 1885). Cosa stava per maturare in questo periodo? Con lui, scelto forse un po' arbitrariamente come spartiacque, tendono a scomparire le figure dei "raccoglitori" ed emergono invece altre persone che iniziano a frequentare il Grappa con intendimenti più scientifici e obiettivi più ambiziosi. Il salto di qualità nel quadro conoscitivo sarà netto. Una figura può valere per tutte: Lino Vaccari (1853-1951). Nativo di Crespano del Grappa e poi giovane assistente nei collegi di Bassano, è il primo che arriva a dare alle stampe un inventario completo, se pur riferito alla sola porzione sommitale (Vaccari 1896). Ma il senso del suo contributo non si può capire bene se non si ricorda che il Vaccari fu uno degli animatori del Club Alpino Bassanese (assieme a un altro botanico, modesto ma valente: Amedeo Zardo). Questo sodalizio, nato nel 1892, volle realizzare, tra i primissimi suoi atti, la costruzione d'un rifugio sulla vetta del Grappa. Fu un servizio per il nascente alpinismo che si andò a fondere con l'impegno per la conoscenza delle bellezze della montagna. "Il Club ha iniziato - si legge nel saluto del Presidente ai soci all'atto della costituzione - con il concorso di vari soci un erbario delle piante delle nostre Prealpi" (Busnardo 1992).
Tra Bizzozzero e Vaccari ci sono altri episodi da non dimenticare. Nell'aprile 1897 venne sul Grappa il celebre Adriano Fiori (1865-1950), autore d'una Flora d'Italia che sarebbe rimasta insuperata per decenni. E nel 1877 ebbe luogo l'escursione alle Meatte del veronese Caro Massalongo (1852-1928), che portò all'identificazione di quella varietà che porta il nome del Massiccio: Saxifraga squarrosa var. grappae (Massalongo 1911). Poi, a cavallo tra i due secoli, iniziò la ricerca floristica dell'asolano Pio Bolzon (1867-1940), dapprima rivolta ai colli della sua cittadina e poi indirizzata anche al Grappa (Bolzon 1892, 1895, 1896a, 1896b, 1897, 1898, 1899, 1900, 1902, 1903, 1905, 1907, 1910, 1913, 1916, 1918, 1922). Con lui, come con il Vaccari, inizia anche quella fase che vede i botanici iniziare a esaminare e utilizzare i ricchi erbari dei predecessori. Questo connubio tra consultazione delle fonti e indagine diretta non potè portare che a un sempre maggiore approfondimento delle conoscenze, anche se, in taluni casi, si ha l'impressione che sia il Vaccari che il Bolzon abbiano accettato troppo acriticamente certe segnalazioni di specie assai dubbie per il Grappa (soprattutto quelle contenute nell'erbario di Alessandro Spranzi).
Ma ormai si guarda con attenzione alla flora di un singolo settore del Grappa per catalogarla o per coglierne i problemi più significativi. Roberto Cobau (1883-1960), nativo di S. Nazario in Valbrenta, inizia una pluridecennale attenzione alla flora del Massiccio andando a studiarne quella parte legata alla Valbrenta e soprattutto alle colture tradizionali del tabacco (Cobau 1911, 1912, 1913b, 1913c, 1915). Michelangelo Minio (1872-1960), bellunese, rivolge invece il proprio interesse a una zona finora del tutto dimenticata: il settore che s'affaccia alla Valle del Piave e precisamente la Valle di Schievenin. La esplora diligentemente negli anni 1910-1914 ed arriva a pubblicarne un inventario floristico, ricco di interessanti annotazioni (Minio 1919). E sempre alle zone limitrofe al Piave (dintorni di Pederobba, soprattutto) viene ad erborizzare nel 1909 Augusto Beguinot (1875- 1940) che però non arriva a darne alle stampe un resoconto dettagliato. Molte sue indicazioni sono comunque riportate dal Saccardo (1917). C'è, infine, un altro elemento che non va assolutamente dimenticato: a cavallo tra i due secoli appaiono le fondamentali pubblicazioni storico-biografiche di Pier Andrea Saccardo (1845- 1920), essenziali per trarre un bilancio dello stato delle conoscenze e per delineare le figure dei loro artefici (Saccardo 1895, 1910, 1917).
Poi venne il Primo Conflitto Mondiale. Al cessare delle ostilità, il quadro conoscitivo della flora del Grappa appariva, se pur frammentato tra erbari e pubblicazioni settoriali, assai promettente. Ma la montagna non era più la stessa di prima: le distruzioni e le successive edificazioni l'avevano sconvolta. Furono pochi a raccogliere quella ricca eredità e quella sfida conoscitiva. Nel primo dopoguerra fu ancora in Grappa Pio Bolzon. Affrontò un problema stimolante, la diffusione di erbe estranee arrivate al seguito delle truppe (tramite merci, imballaggi, fieno per i muli...). Questa nuova flora, detta "castrense" (Bolzon 1919, 1920), ebbe in larga parte una vita effimera ma non fu che il preludio di un fenomeno invasivo più ampio che stava per esplodere. Roberto Cobau continuò nella sua attenzione al Grappa e, se pur non dedicò al Massiccio studi specifici, i suoi ottimi lavori floristici sono ricchi di segnalazioni per questo territorio e per quelli limitrofi (Cobau 1923, 1928, 1940, 1942a). Negli anni trenta venne più volte ad erborizzare Silvia Zenari (1895-1956), soprattutto sul versante meridionale, ma delle sue ricerche sono rimasti solo numerosi fogli d'erbario ora incorporati nelle collezioni dell'Orto Botanico di Padova. Poi, a quanto è dato sapere, più nulla. Bisogna aspettare i decenni successivi al secondo conflitto mondiale per ritrovare un rinascere diffuso dell'interesse botanico per il Grappa. Buona parte del merito va ad alcuni appassionati delle cittadine limitrofe. Francesco Caldart, Antonio Celotto, Giuseppe Girardi, Giuseppe Marchente, Giovanni Paoletti, Armando Scopel e altri, in ambito locale e utilizzando mezzi diversi (pubblicazioni periodiche cittadine, conferenze, visite guidate...), risvegliano l'interesse. Inizia così la prima vera fase che vede una diffusa divulgazione delle bellezze ambientali del Grappa con molte associazioni in prima linea (sezioni del C.A.I., W.W.F, e altre).
E c'è un luogo dove un po' tutto trova sintesi e punto d'incontro: la "Casa Don Bosco" fondata e guidata da don Paolo Chiavacci (1916-1982) alle pendici del Grappa, presso Crespano. Anche qualche tesi di laurea, eseguita soprattutto da studenti dell'Università di Padova, comincia ad avere per oggetto aspetti della flora del Grappa. E si rivedono ad esplorare il Massiccio altri illustri botanici, il prof. Sandro Pignatti (più volte negli anni ottanta) e il prof. Elias Landolt (nel 1990). Nuovi contributi conoscitivi vengono dati alle stampe (Busnardo 1985, 1988, 1990, 1994; Curti & Scortegagna 1992; Fuchs-Eckert 1988; Lasen 1983, 1988, 1990, 1993).
L’excursus storico di Busnardo (1994) si ferma qui. Negli ultimi decenni l’esplorazione floristica del Massiccio del Grappa si è intensificata, anche a causa delle iniziative per l’inclusione di quest’area nelle Riserve della Biosfera MAB UNESCO (v. oltre). Si possono citare i lavori di Bragazza & Vardanega (1995), Busnardo (2004, 2006), Casarotto & al. (2002), Didonè & Chiesura-Lorenzoni (2003), Dunkel (2010), Faccio & Busnardo (1999), Landolt & Huber (1990). Mocellin & Perini (2007), Tornadore & al. 1995), Zonta & Cangiglia (2005), oltre agli studi di Festi & al. (2015) sul genere Alchemilla, le ricerche sulle Orchidee (AA.VV. 2016), l’Atlante floristico della Provincia di Vicenza (Scortegagna & al. 2016) e soprattutto la monumentale Flora del Veneto (Argenti & al. 2019) ove vengono recepite tutte le più recenti novità floristiche.

Monte Grappa, Riserva della Biosfera
Il Massiccio del Grappa conserva un patrimonio naturalistico di notevole valore in virtù della sua particolare collocazione tra i fiumi Brenta e Piave e le aree pedemontane e collinari che lo circondano, ponte di transizione tra la pianura padana e l’arco alpino sud-orientale dove l’ecosistema garantisce il mantenimento di innumerevoli specie vegetali e animali. Rientra nei Siti RETE NATURA 2000 IT3230022 (ZPS) - (ZSC) e annovera tra la sua flora circa un quarto del patrimonio floristico italiano, tra cui 78 endemismi e 54 orchidee spontanee. Un ambiente straordinario quindi, di grande ricchezza ma allo stesso tempo così fragile da richiedere un’azione comune per essere salvaguardato. È proprio con questo obiettivo che, dopo anni di sforzi da parte delle amministrazioni e delle varie organizzazioni impegnate nella sua tutela, è stato possibile attuare un piano concreto che ha permesso al Massiccio del Grappa di essere proclamato Riserva della Biosfera MAB UNESCO. Tra i vari programmi previsti dall’UNESCO, vi è il riconoscimento di Riserva della Biosfera nell’ambito del MAB - Man and the Biosphere (Uomo e la Biosfera). Le Riserve della Biosfera sono aree di ecosistemi terrestri, costieri e marini in cui, attraverso un’appropriata gestione del territorio, si associa la conservazione dell’ecosistema e la sua biodiversità con l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali a beneficio delle comunità locali. Ciò comprende attività di ricerca, conservazione, sviluppo e formazione.
Il Monte Grappa è stato proclamato Riserva della Biosfera MAB UNESCO il 15 settembre 2021 con un percorso di candidatura coordinato dall’IPA Terre di Asolo e Monte Grappa e il coinvolgimento di 25 comuni connessi al Monte Grappa: Alano di Piave, Arsiè, Asolo, Bassano del Grappa, Borso del Grappa, Castelcucco, Cavaso del Tomba, Cornuda, Feltre, Fonzaso, Fonte, Maser, Monfumo, Mussolente, Pedavena, Pederobba, Pieve del Grappa, Possagno, Pove del Grappa, Romano d’Ezzelino, Quero-Vas, San Zenone degli Ezzelini, Seren del Grappa, Solagna, Valbrenta.

Bibliografia
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  • Argenti C., Masin R., Pellegrini B., Perazza G., Prosser F., Scortegagna S., Tasinazzo S. 2019. Flora del Veneto, dalle Dolomiti alla laguna veneziana. CIERRE Ed., 2 voll., 1728 pp.
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