Area di studio
Il Massiccio del Grappa
Il Massiccio del Grappa è ben delimitato nei suoi confini occidentali e
orientali, coincidenti con gli assi fluviali del Brenta e del Piave. Il limite
settentrionale segue il corso del Cismon a partire dalla confluenza nel Brenta
in località Pedancino, attraversa la Sella di Arten e poi segue il torrente
Stizzon fino ad Anzù e a Sanzan, dove torna a congiungersi con il Piave. Verso
sud, infine, il Massiccio è delimitato rispetto ai Colli Asolani grazie al bordo
della Flessura Pedemontana, che separa l’unicità tettonica cui appartiene anche
il Monte Grappa, il Sovrascorrimento Bassano-Valdobbiadene, dal più meridionale
e recente Sovrascorrimento di Aviano, responsabile del sollevamento delle
colline pedemontane del Veneto centro-orientale. Questo confine passa vicino ai
centri di Romano d’Ezzelino, Borso del Grappa, Possagno e Pederobba. Il
Massiccio è un corpo compatto di forma subquadrangolare, che alcune profonde
valli suddividono in dorsali culminanti nelle elevazioni di Cima Grappa (1775
m), M. Salarol (1672 m), M. Tomatico (1595 m), M. Asolone (1520 m), M. Prassolan
(1482 m), M. Pallon (1305 m) ecc. Appartiene amministrativamente alle province
di Belluno, Vicenza e Treviso.
Geologia
Dal punto di vista geologico, il Grappa si pone come elemento di transizione tra
gli Altopiani vicentini e le Prealpi trevigiano-bellunesi vere e proprie. La
successione stratigrafica inizia ovunque con la Dolomia Principale triassica,
che però affiora solo nel settore più sudoccidentale, coincidente con le basse
pendici aggettanti sulla Valle del Brenta, e prosegue con i membri inferiori del
Gruppo dei Calcari Grigi del Giurassico inferiore. Da questo punto in poi, la
geologia del Monte Grappa diviene disomogenea per lo smembramento dell’area in
due domini ben distinti, raccordati da una ripida scarpata: la Ruga Trentina, un
altofondo esteso verso est fino al Monte Baldo, e il profondo Bacino Bellunese.
I due settori ebbero evoluzione completamente differente (Carraro & al. 1989).
Nel settore occidentale, la serie stratigrafica è sovrapponibile a quella dei
vicini Altopiani Vicentini, con i Calcari Grigi (spesso in facies oolitiche ed
encrinitiche) direttamente sovrastati dal Rosso Ammonitico. In quello orientale,
invece, nello stesso intervallo di tempo si depositarono, in successione: le
Dolomie Selcifere nettamente stratificate, la Formazione di Igne, composta da
calcari dolomitici e noduli di selce, facilmente erodibile e contraddistinta
morfologicamente da terrazzi, il Rosso Ammonitico Inferiore, il Calcare del
Vajont, formato da dolomie e calcari oolitici massicci in buona parte di origine
torbiditica ed evidenziato da cornici e pareti rupestri, e la Formazione di
Fonzaso, formata da calcari selciferi derivanti dallo smantellamento della
scogliera marginale della Piattaforma Friulana. Solo alla fine del Giurassico,
con il livellamento della batimetria e lo sprofondamento della Ruga Trentina,
tutta l’area riconquistò la sua uniformità, marcata dalla continuità del Rosso
Ammonitico superiore con i caratteristici calcari nodulari che formano evidenti
cornici, e dalle sovrastanti Maiolica e Scaglia Rossa, con litologie ed effetti
morfologici dolci e del tutto simili a quelli di altre zone prealpine. Tutti i
livelli più recenti sono stati asportati dall’erosione, eccetto piccoli areali
di affioramento di rocce terziarie di vario tipo (calcari, arenarie, marne ecc.)
ai margini del rilievo.
Clima
Il clima è tipicamente prealpino, con temperature medie annue variabili dai 12,8
°C di Bassano del Grappa, ai 10,8 °C di Seren del Grappa e ai 3,3 °C di Cima
Grappa e piovosità piuttosto elevate (1188 mm a Bassano del Grappa ma già 1383
mm a Cismon, 1411 mm a Borso, 1473 mm a Seren e 1610 mm a Cima Grappa) e
concentrate soprattutto nelle stagioni intermedie.
Vegetazione forestale
La vegetazione forestale della fascia temperata inferiore è dominata da carpino
nero e orniello, con le querce (in particolare la roverella) nettamente
subordinate. La forma mesofila dell’ostrio-querceto è poco diffusa e
localizzata, mentre sono nettamente più frequenti gli aspetti xerofili
riferibili alle diverse varianti dell’orno-ostrieto. Come ovunque sulle Prealpi,
queste formazioni sono spesso pioniere su ex prati aridi o addirittura ex
coltivi. Nettamente più rari sono i boschi a carpino bianco, sempre però con
Ostrya, localizzati in poche vallecole e nei versanti esposti a nord. Più
spesso, nelle stazioni adatte al carpino sono invece presenti castagneti,
favoriti in passato dall’uomo nonostante la natura calcarea di tutto il
territorio, che occupano vaste superfici su molti versanti (Rasai, Tomatico,
Monfenera, Borso). Nelle forre sono riconoscibili l’orno-ostrieto con tiglio e
l’aceri-tiglieto. Molto diffusi in certe aree sono anche i corileti, ad esempio
in Valle di Schievenin, che hanno occupato ampie superfici un tempo prative
(Lasen 2008). La fascia temperata superiore è dominata dalle faggete, da quelle
a Ostrya nelle zone più basse, soleggiate e antropizzate, attraverso quelle
submontane, quelle montane propriamente dette fino a quelle altimontane, che
ricoprirebbero la vetta se non fossero state eliminate dall’uomo per far posto
ai pascoli. Se la presenza delle conifere è spesso importante, ciò è dovuto
soprattutto al favore riservato loro dai selvicoltori; tuttavia il alcune zone
possono essere riconosciute come paranaturali, ad esempio le faggete con abete
bianco e i veri e propri abieteti (Lasen in Busnardo & Lasen 1994). I
cespuglieti subalpini, quasi sempre pionieri su ex pascoli e occupanti aree
potenzialmente coperte dal bosco, sono complessivamente poco estesi. Le mughete
ricoprono poche stazioni cacuminali, canaloni e falde detritiche attive, mentre
sono più frequenti i saliceti a Salix appendiculata e Salix glabra. Sono
rarissime le formazioni dominate dall’ontano verde.
Vegetazione erbacea
Le vegetazioni erbacee, un tempo assai più diffuse soprattutto alle quote
medio-basse, sono in buona parte scomparse a seguito dell’abbandono,
accompagnato dall’avanzata del bosco. Particolarmente pregiati, per la loro
composizione floristica, sono i prati aridi dei bassi versanti con marcata
impronta illirico-mediterranea, i pendii rupestri di quota medio-alta, spesso
dominati dall’endemica Festuca alpestris, e gli orli termofili, molto diffusi a
seguito della rapida riconquista del bosco. Un notevole contributo paesaggistico
è dato dai prati pingui da sfalcio ad Arrhenatherum elatius, che però sono ormai
limitati ai dintorni dei paesi e ad alcune valli come la Val Schievenin. Nel
settore sommitale sono molto estesi e ben conservati i pascoli delle malghe,
molte delle quali sono ancora monticate, mentre i seslerieti occupano superfici
limitate su suoli detritici e in stazioni cacuminali, spesso a quote inferiori
rispetto al loro normale optimum (Lasen 2008). Le rupi sono molto estese a tutte
le quote favorite dalle differenze di erodibilità tra le varie formazioni
rocciose, mentre i macereti sono limitati a piccole superfici presso la vetta e
in alcuni canaloni. Gli ambienti umidi, anche a causa del diffuso carsismo, sono
limitati alle pozze d’alpeggio delle malghe e alle sponde dei fiumi Brenta e
Piave.
Storia dell’Esplorazione botanica
(testo ripreso, con piccole modifiche, da Busnardo 1994b)
Chi fu il primo ad addentrarsi nel Grappa con interessi botanici? Difficile a
dirsi. È però possibile delineare l'epoca nella quale comparvero sul Massiccio i
primi "cacciatori di erbe": gli anni a metà del XVI secolo. Era il periodo
successivo al Rinascimento e anche la scienza dei vegetali ne aveva ricevuto un
benefico rinnovamento. I primi erbari fatti di erbe essiccate (e non più dipinte
o disegnate) e i primi Orti Botanici nacquero proprio allora. In entrambi i
casi, la ricerca diretta delle erbe diveniva una necessità. Non si ritenevano
più sufficienti le figure e le nozioni trasmesse dai testi dei classici ma si
voleva vedere la pianta "in carne ed ossa". Questo sarà stato il motivo che
spinse il celebre Pier Andrea Mattioli (1501-1578) a compiere quel viaggio in
Valbrenta che portò alla scoperta del magnifico fiore (Primula matthioli) che
successivamente a lui venne dedicato (Curti & Scortegagna 1992). C'è anche una
data precisa, ossia un preciso riferimento temporale per queste prime ricerche,
ed è contenuta nell'erbario di Gaspare Ratzenberger a proposito di Adiantum
capillus-veneris raccolto nei pressi di Arsiè: 10 maggio 1559 (Lasen 1985). E
c'è una terza figura da ricordare tra questi pionieri: Prospero Alpini
(1553-1616). A lui va il merito della scoperta in Valle S. Felicita, nei
primissimi anni del XVII secolo, di una nuova specie di campanula che descrisse
come Campanula pyramidalis minor e che poi, dopo vicissitudini nomenclaturali,
venne denominata Adenophora liliifolia (Alpini 1624, Busnardo 1987). Iniziò in
questo modo la lunga vicenda dell'esplorazione botanica del Massiccio. Una
storia complessa, ricca di figure e di studi, che nelle righe seguenti
racconteremo solo per sommi capi. Ma dalla quale non si può prescindere, anche
come doveroso atto di riconoscenza verso chi ha posto le basi per le attuali
conoscenze di cui tutti possiamo godere. Per eventuali approfondimenti, si
rimanda alle fonti bibliografiche che via via verranno citate.
Per i due secoli seguenti, i viaggi botanici che toccarono il bassanese e le
pendici del Grappa furono pochi. Ma, alcuni, molto significativi. Venne ad
esempio John Ray (1627-1705), grandissimo naturalista inglese, e venne Giulio
Pontedera (1688-1757), prefetto all'Orto botanico di Padova. Nei loro intenti
non c'era tanto l'esplorazione di questa o quella valle ma una più generale
raccolta di erbe e di informazioni per arrivare alla compilazione delle loro
opere così importanti nella storia della classificazione dei vegetali (Ray 1686,
Pontedera 1718). Perché quella era una delle poste in gioco tra gli studiosi di
quell'epoca: ideare un metodo convincente e generalizzabile per catalogare e
strutturare gerarchicamente ogni forma di vita. Quelle di Ray e Pontedera furono
opere di grande diffusione e, tra una citazione e l'altra, cominciarono così
anche a far conoscere qualche località dei monti del bassanese. Assieme a loro,
per aver lambito in varia misura il Grappa, vanno poi ricordati i viaggi di
Paolo Boccone (1633-1704), Pier Antonio Micheli (1679-1737) e Antonio Tita
(1657-1729).
Un terzo periodo, forse il più fecondo quanto ad indagini, inizia sul finire del
XVIII secolo. Le innovazioni nella sistematica, che trovarono in Carlo Linneo
(1707-1778) la più lucida sintesi, unite al diffondersi del pensiero
illuminista, che spingeva gli studiosi ad uscire dal chiuso di aule e
laboratori, ebbero come effetto un rapido moltiplicarsi di esplorazioni a scopo
botanico. Nel Grappa, sono due le figure che iniziano a fare scuola e a lanciare
l'esempio: Gian Battista Brocchi (1772-1826), bassanese, e Kaspar Maria von
Sternberg (1761-1838), nobile boemo (Brocchi 1796, Sternberg 1804). Troveranno
presto proseliti in loco. Ma da tante altre cittadine venete e trentine vengono
in molti ad erborizzare nel Massiccio. Ciascuno di loro meriterebbe ampie
considerazioni, ma per i motivi già esposti ci limitiamo a ricordarne i nomi:
Francesco Ambrosi (1821-1897), John Ball (1818-1889), Giambattista Baseggio
(1790-1861), Francesco Beltramini de Casati (1828-1903), Nicolò Contarini
(1780-1849), Roberto De Visiani (1800-1878), Pietro Favero (1812-1890), Giuseppe
Fracchia (1797-1869), Giovanni Larber (1786-1845), Giuseppe Moretti (1782-1853),
Ferdinando Paterno (1779-1852), Francesco Facchini (1788-1852), Federico Mayer
(1788-1828), Arturo Rossi (1859-1891), Alessandro Spranzi (1802-1890) e Giovanni
Zanardini (1804-1878).
Cosa produce tutto questo fervore di viaggi e ricerche? Non è facile a dirsi.
Buona parte delle persone sopra citate avevano concepito le proprie escursioni
soprattutto per conoscere il luogo ed aumentare il proprio bagaglio di
conoscenze. Non è noto se in qualcuno ci fosse un intendimento più ambizioso. Lo
sbocco più concreto fu soprattutto l'arricchimento degli erbari personali e solo
raramente la pubblicazione di notizie a stampa. Quando ciò avvenne (Ambrosi
1854-1857, Ball 1868, Facchini 1855, Moretti 1815) si trattò sempre di citazioni
all'interno di lavori a carattere più generale. Però la quantità di nuove
acquisizioni, pur se disperse e frammentate in collezioni private, fu
indubbiamente notevole. E l'effetto che produsse fu quello di far ulteriormente
lievitare l'interesse per questa montagna.
In mezzo a questo grande fervore botanico, una menzione speciale spetta a due
bassanesi: Giovanni Montini (1802-1854), farmacista, e Alberto Parolini
(1788-1867), nobile e possidente. Sarà stato l'amore per la montagna di casa,
sarà stato che nella loro città si respirava un forte anelito culturale, fatto
sta che la mole delle loro ricerche fu notevolissima. I loro erbari,
fortunatamente ancora ben conservati nel Museo Civico della città natale
(Busnardo 1987-1988, 1988, 1989, 1990a, 1991a, 1993, 1994, Lasen & Busnardo
1988-1989, 1993), contengono un pregevole inventario della flora del Massiccio.
Se solo avessero messo un po' d'ordine e dato alle stampe un catalogo, avrebbero
anticipato di decenni certe tappe delle conoscenze. Ma il loro contributo al
progresso dell'esplorazione botanica si concretizzò anche in un'altra direzione.
Era quella l'epoca della compilazione delle prime "Flore d'Italia" da parte di
Antonio Bertoloni (1775-1868) e Filippo Parlatore (1816-1877). Come avrebbero
potuto quei due illustri botanici, rispettivamente da Bologna e Firenze,
arrivare a raccogliere la necessaria e puntigliosa documentazione sui patrimoni
floristici d'ogni regione della penisola? Eravamo nella prima metà del XIX
secolo, e le notizie giravano in carrozza e non per internet. Una rete di
affidabili collaboratori periferici era indispensabile. E questo fu proprio il
ruolo del Montini e del Parolini (e di molti altri, naturalmente). Del
farmacista bassanese si conserva anche all'Erbario Centrale Italico di Firenze
una raccolta di 928 specie "dalle Alpi bassanesi" donata appositamente per
raccogliere l'invito del Parlatore a far nascere in quella città una grande
collezione che potesse essere di riferimento per tutti i botanici. Questo
fervente periodo di ricerche lascia un'eredità poliedrica. Erbari, manoscritti,
saggi a stampa ed epistolari ci consegnano un quadro conoscitivo che, se pur
frammentario e disperso, è pur sempre ricchissimo. Ma anche intriso di
problematiche. Non tutte le indicazioni di erbe osservate appaiono oggi
verosimili. Tanto più che spesso molte collezioni, comprendenti i campioni da
controllare, sono andate perdute o disperse (Busnardo 1993). Ma laddove queste
raccolte esistano ancora, sono un fondamentale e irrinunciabile punto di
partenza per accertare non solo la veridicità delle segnalazioni stesse ma anche
per scoprirne altre spesso passate del tutto inosservate. E’ ciò che è emerso
proprio dalla revisione dell'erbario Montini (Lasen & Busnardo 1988-1989, 1993):
molti dubbi sono stati finalmente risolti portando a una rivalutazione della
stessa figura dell'autore.
Con le escursioni di Giacomo Bizzozzero (1852-1885), modesto ma valido
erborizzatore, possiamo iniziare a delineare un quarto periodo in questa
scoperta botanica del Massiccio. Figlio del custode del giardino di Jacopo
Cabianca alla Longa di Schiavon (Vicenza) e poi lui stesso assistente all'Orto
Botanico di Padova, fu nel Grappa più volte nel 1878 (Bizzozzero 1879, 1882,
1885). Cosa stava per maturare in questo periodo? Con lui, scelto forse un po'
arbitrariamente come spartiacque, tendono a scomparire le figure dei
"raccoglitori" ed emergono invece altre persone che iniziano a frequentare il
Grappa con intendimenti più scientifici e obiettivi più ambiziosi. Il salto di
qualità nel quadro conoscitivo sarà netto. Una figura può valere per tutte: Lino
Vaccari (1853-1951). Nativo di Crespano del Grappa e poi giovane assistente nei
collegi di Bassano, è il primo che arriva a dare alle stampe un inventario
completo, se pur riferito alla sola porzione sommitale (Vaccari 1896). Ma il
senso del suo contributo non si può capire bene se non si ricorda che il Vaccari
fu uno degli animatori del Club Alpino Bassanese (assieme a un altro botanico,
modesto ma valente: Amedeo Zardo). Questo sodalizio, nato nel 1892, volle
realizzare, tra i primissimi suoi atti, la costruzione d'un rifugio sulla vetta
del Grappa. Fu un servizio per il nascente alpinismo che si andò a fondere con
l'impegno per la conoscenza delle bellezze della montagna. "Il Club ha iniziato
- si legge nel saluto del Presidente ai soci all'atto della costituzione - con
il concorso di vari soci un erbario delle piante delle nostre Prealpi" (Busnardo
1992).
Tra Bizzozzero e Vaccari ci sono altri episodi da non dimenticare. Nell'aprile
1897 venne sul Grappa il celebre Adriano Fiori (1865-1950), autore d'una Flora
d'Italia che sarebbe rimasta insuperata per decenni. E nel 1877 ebbe luogo
l'escursione alle Meatte del veronese Caro Massalongo (1852-1928), che portò
all'identificazione di quella varietà che porta il nome del Massiccio: Saxifraga
squarrosa var. grappae (Massalongo 1911). Poi, a cavallo tra i due secoli,
iniziò la ricerca floristica dell'asolano Pio Bolzon (1867-1940), dapprima
rivolta ai colli della sua cittadina e poi indirizzata anche al Grappa (Bolzon
1892, 1895, 1896a, 1896b, 1897, 1898, 1899, 1900, 1902, 1903, 1905, 1907, 1910,
1913, 1916, 1918, 1922). Con lui, come con il Vaccari, inizia anche quella fase
che vede i botanici iniziare a esaminare e utilizzare i ricchi erbari dei
predecessori. Questo connubio tra consultazione delle fonti e indagine diretta
non potè portare che a un sempre maggiore approfondimento delle conoscenze,
anche se, in taluni casi, si ha l'impressione che sia il Vaccari che il Bolzon
abbiano accettato troppo acriticamente certe segnalazioni di specie assai dubbie
per il Grappa (soprattutto quelle contenute nell'erbario di Alessandro Spranzi).
Ma ormai si guarda con attenzione alla flora di un singolo settore del Grappa
per catalogarla o per coglierne i problemi più significativi. Roberto Cobau
(1883-1960), nativo di S. Nazario in Valbrenta, inizia una pluridecennale
attenzione alla flora del Massiccio andando a studiarne quella parte legata alla
Valbrenta e soprattutto alle colture tradizionali del tabacco (Cobau 1911, 1912,
1913b, 1913c, 1915). Michelangelo Minio (1872-1960), bellunese, rivolge invece
il proprio interesse a una zona finora del tutto dimenticata: il settore che
s'affaccia alla Valle del Piave e precisamente la Valle di Schievenin. La
esplora diligentemente negli anni 1910-1914 ed arriva a pubblicarne un
inventario floristico, ricco di interessanti annotazioni (Minio 1919). E sempre
alle zone limitrofe al Piave (dintorni di Pederobba, soprattutto) viene ad
erborizzare nel 1909 Augusto Beguinot (1875- 1940) che però non arriva a darne
alle stampe un resoconto dettagliato. Molte sue indicazioni sono comunque
riportate dal Saccardo (1917). C'è, infine, un altro elemento che non va
assolutamente dimenticato: a cavallo tra i due secoli appaiono le fondamentali
pubblicazioni storico-biografiche di Pier Andrea Saccardo (1845- 1920),
essenziali per trarre un bilancio dello stato delle conoscenze e per delineare
le figure dei loro artefici (Saccardo 1895, 1910, 1917).
Poi venne il Primo Conflitto Mondiale. Al cessare delle ostilità, il quadro
conoscitivo della flora del Grappa appariva, se pur frammentato tra erbari e
pubblicazioni settoriali, assai promettente. Ma la montagna non era più la
stessa di prima: le distruzioni e le successive edificazioni l'avevano
sconvolta. Furono pochi a raccogliere quella ricca eredità e quella sfida
conoscitiva. Nel primo dopoguerra fu ancora in Grappa Pio Bolzon. Affrontò un
problema stimolante, la diffusione di erbe estranee arrivate al seguito delle
truppe (tramite merci, imballaggi, fieno per i muli...). Questa nuova flora,
detta "castrense" (Bolzon 1919, 1920), ebbe in larga parte una vita effimera ma
non fu che il preludio di un fenomeno invasivo più ampio che stava per
esplodere. Roberto Cobau continuò nella sua attenzione al Grappa e, se pur non
dedicò al Massiccio studi specifici, i suoi ottimi lavori floristici sono ricchi
di segnalazioni per questo territorio e per quelli limitrofi (Cobau 1923, 1928,
1940, 1942a). Negli anni trenta venne più volte ad erborizzare Silvia Zenari
(1895-1956), soprattutto sul versante meridionale, ma delle sue ricerche sono
rimasti solo numerosi fogli d'erbario ora incorporati nelle collezioni dell'Orto
Botanico di Padova. Poi, a quanto è dato sapere, più nulla. Bisogna aspettare i
decenni successivi al secondo conflitto mondiale per ritrovare un rinascere
diffuso dell'interesse botanico per il Grappa. Buona parte del merito va ad
alcuni appassionati delle cittadine limitrofe. Francesco Caldart, Antonio
Celotto, Giuseppe Girardi, Giuseppe Marchente, Giovanni Paoletti, Armando Scopel
e altri, in ambito locale e utilizzando mezzi diversi (pubblicazioni periodiche
cittadine, conferenze, visite guidate...), risvegliano l'interesse. Inizia così
la prima vera fase che vede una diffusa divulgazione delle bellezze ambientali
del Grappa con molte associazioni in prima linea (sezioni del C.A.I., W.W.F, e
altre).
E c'è un luogo dove un po' tutto trova sintesi e punto d'incontro: la "Casa Don
Bosco" fondata e guidata da don Paolo Chiavacci (1916-1982) alle pendici del
Grappa, presso Crespano. Anche qualche tesi di laurea, eseguita soprattutto da
studenti dell'Università di Padova, comincia ad avere per oggetto aspetti della
flora del Grappa. E si rivedono ad esplorare il Massiccio altri illustri
botanici, il prof. Sandro Pignatti (più volte negli anni ottanta) e il prof.
Elias Landolt (nel 1990). Nuovi contributi conoscitivi vengono dati alle stampe
(Busnardo 1985, 1988, 1990, 1994; Curti & Scortegagna 1992; Fuchs-Eckert 1988;
Lasen 1983, 1988, 1990, 1993).
L’excursus storico di Busnardo (1994) si ferma qui. Negli ultimi decenni
l’esplorazione floristica del Massiccio del Grappa si è intensificata, anche a
causa delle iniziative per l’inclusione di quest’area nelle Riserve della
Biosfera MAB UNESCO (v. oltre). Si possono citare i lavori di Bragazza &
Vardanega (1995), Busnardo (2004, 2006), Casarotto & al. (2002), Didonè &
Chiesura-Lorenzoni (2003), Dunkel (2010), Faccio & Busnardo (1999), Landolt &
Huber (1990). Mocellin & Perini (2007), Tornadore & al. 1995), Zonta & Cangiglia
(2005), oltre agli studi di Festi & al. (2015) sul genere Alchemilla, le
ricerche sulle Orchidee (AA.VV. 2016), l’Atlante floristico della Provincia di
Vicenza (Scortegagna & al. 2016) e soprattutto la monumentale Flora del Veneto
(Argenti & al. 2019) ove vengono recepite tutte le più recenti novità
floristiche.
Monte Grappa, Riserva della Biosfera
Il Massiccio del Grappa conserva un patrimonio naturalistico di notevole valore
in virtù della sua particolare collocazione tra i fiumi Brenta e Piave e le aree
pedemontane e collinari che lo circondano, ponte di transizione tra la pianura
padana e l’arco alpino sud-orientale dove l’ecosistema garantisce il
mantenimento di innumerevoli specie vegetali e animali. Rientra nei Siti RETE
NATURA 2000 IT3230022 (ZPS) - (ZSC) e annovera tra la sua flora circa un quarto
del patrimonio floristico italiano, tra cui 78 endemismi e 54 orchidee
spontanee. Un ambiente straordinario quindi, di grande ricchezza ma allo stesso
tempo così fragile da richiedere un’azione comune per essere salvaguardato. È
proprio con questo obiettivo che, dopo anni di sforzi da parte delle
amministrazioni e delle varie organizzazioni impegnate nella sua tutela, è stato
possibile attuare un piano concreto che ha permesso al Massiccio del Grappa di
essere proclamato Riserva della Biosfera MAB UNESCO. Tra i vari programmi
previsti dall’UNESCO, vi è il riconoscimento di Riserva della Biosfera
nell’ambito del MAB - Man and the Biosphere (Uomo e la Biosfera). Le Riserve
della Biosfera sono aree di ecosistemi terrestri, costieri e marini in cui,
attraverso un’appropriata gestione del territorio, si associa la conservazione
dell’ecosistema e la sua biodiversità con l’utilizzo sostenibile delle risorse
naturali a beneficio delle comunità locali. Ciò comprende attività di ricerca,
conservazione, sviluppo e formazione.
Il Monte Grappa è stato proclamato Riserva della Biosfera MAB UNESCO il 15
settembre 2021 con un percorso di candidatura coordinato dall’IPA Terre di Asolo
e Monte Grappa e il coinvolgimento di 25 comuni connessi al Monte Grappa: Alano
di Piave, Arsiè, Asolo, Bassano del Grappa, Borso del Grappa, Castelcucco,
Cavaso del Tomba, Cornuda, Feltre, Fonzaso, Fonte, Maser, Monfumo, Mussolente,
Pedavena, Pederobba, Pieve del Grappa, Possagno, Pove del Grappa, Romano
d’Ezzelino, Quero-Vas, San Zenone degli Ezzelini, Seren del Grappa, Solagna,
Valbrenta.
Bibliografia