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è spesso coltivato in impianti di arboricoltura da legno, che viene impiegato per fabbricare tavole, parquet, strumenti
musicali, sculture e lavori al tornio. È un albero utilizzato anche a scopo ornamentale, con vita media superiore ai 2-3
secoli, ma si conoscono esemplari che superano i 500-600 anni. Il nome generico era già in uso presso i Romani, e
deriva dal latino 'acer' (appuntito, acuto), forse per la forma dei denti fogliari di
A. platanoides
, oppure in riferimento al
fatto che il legno di alcune specie europee, molto compatto ed elastico, era usato per la fabbricazione di lance; il nome
specifico si riferisce alla somiglianza delle foglie con quelle del platano. Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di
fioritura: aprile-maggio.
Aesculus hippocastanum
L.
L'ippocastano è un albero ornamentale che può raggiungere i 30 m,
originario di un'area ristretta della Penisola Balcanica. Fu
introdotto nel 1576 da Charles de L'Écluse (Clusius) nei giardini
imperiali di Vienna e da qui, a distanza di tempo (sec. XVIII-XIX),
venne distribuito attraverso i semi in tutto il territorio dell'Impero
Austro-Ungarico; per tale motivo risulta tradizionalmente
impiegato soprattutto nell'Italia settentrionale. È coltivato in viali,
parchi e giardini, a volte comparendo allo stato subspontaneo nei
boschi termofili della fascia collinare. Nell'Orto Botanico di Torino
la specie è stata citata per la prima volta in coltivazione nel 1821.
Alcuni esemplari sono stati acquistati dal vivaio Burdin di Torino
nel 1851. Attualmente sono presenti due alberi di diametro
piuttosto rilevante, il più grande pari a circa 100 cm, tale da avere i
requisiti per l'inserimento tra gli alberi monumentali della città di
Torino secondo quanto previsto dalla Legge Regionale n°50 del 1995 (e sue modifiche con L.R. n°4 del 2009) recepita
dal relativo Regolamento del Comune di Torino. Entrambi gli esemplari potrebbero essere stati messi a dimora a metà
'800 se non addirittura nei decenni precedenti. Nel verde pubblico torinese la specie è la quarta maggiormente
rappresentata , con circa 4.000 esemplari. I semi, velenosi per effetto dei saponosidi che contengono, vengono talvolta
consumati per errore perché scambiati per castagne o ritenuti commestibili come queste ultime. La pianta è usata a
scopo farmaceutico (antiemorroidario), cosmetico e tintorio; i semi, schiacciati e pestati, erano impiegati per la
produzione di sapone, specialmente in tempo di guerra. Le alberature sono oggi attaccate da un lepidottero (
Cameraria
ohridella
) che causa il precoce appassimento delle foglie. Il nome generico era già in uso presso i Romani (Virgilio),
che però con esso designavano una quercia; il nome specifico deriva dal greco 'híppos' (cavallo) e 'kástanon' (castagna),
per l'aspetto dei frutti a forma di grossi ricci a spine deboli e fragili contenenti grossi semi simili a castagne, utilizzati in
Oriente come alimento per i cavalli. Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Ailanthus altissima
(Mill.) Swingle
L'ailanto fu introdotto dalla Cina nel 1760 per avviare
l'allevamento di un nuovo baco da seta (il baco tradizionale era
decimato da catastrofiche epidemie); l'allevamento non ebbe
successo, ma l'ailanto si diffuse a tal punto che, agli esordi dell'era
industriale, incominciò a dimostrarsi altamente aggressivo,
giungendo oggi a occupare uno dei primi posti nella classifica
mondiale delle specie invasive e il primo posto nelle liste nere dei
territori a clima temperato: è un pericoloso demolitore di opere
murarie e monumenti, che poco per volta sgretola per azione
dell'apparato radicale. Cresce in tutta Italia presso gli abitati, lungo
le vie, sui muri, in prati abbandonati ove ritarda la ricostituzione
dei boschi, al di sotto della fascia montana. Nell'Orto Botanico di
Torino la specie è stata coltivata dal 1821 ed è ora presente con
numerosi esemplari. In Torino e in Piemonte l'ailanto si è diffuso
ampiamente, in modo spontaneo e causa notevoli danni alle strutture edilizie. L'invasività è dovuta all'enorme numero
di semi (sino a 250.000 per albero all'anno), alla sostenuta riproduzione vegetativa per polloni e all'eliminazione della
concorrenza per allelopatia. Le foglie emanano un odore sgradevole per la presenza di formazioni ghiandolari alla base
della lamina, mentre semi e scorza sono tossici. Il nome generico, come riferisce Desfontaines, autore del genere, deriva
da un termine cinese antico che significa 'albero del cielo' o 'albero che può raggiungere il cielo', concetto ripreso nel
nome specifico. Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Betula pubescens
Ehrh. subsp.
pubescens
La betulla pubescente è una specie originaria dell'Europa e dell'Asia settentrionale, in Italia presente nelle regioni
settentrionali (in particolare sulle Alpi) tra i 500 e i 1800 m. Nell'Orto Botanico di Torino la specie era già in
coltivazione nel 1802 alcuni esemplari sono stati acquistati dal vivaio Burdin di Torino nel 1851. Attualmente è
presente con un unico esemplare. Ha caratteristiche ecologiche molto simili a
B. pendula
, rispetto alla quale ha una