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Syn.:
Fallopia japonica
(Houtt.) Ronse Decr. - È una pianta originaria
dell'Asia orientale, introdotta in Europa nel XIX sec. e divenuta invasiva in
molti paesi. È segnalata come avventizia in molte regioni dell'Italia
continentale, compresa la nostra. Cresce in ambienti ruderali. Il genere è
dedicato al nobile fiammingo Karel van Sint-Omaars (1533-1569),
botanico e umanista, signore di Dranouter (francesizzato in de Reynoutre);
il nome specifico si riferisce al Giappone, da cui la pianta fu introdotta.
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Foglie a margine dentato
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Arbusto non più alto di 4 m a maturità. Frutti (nocciole) non portati da peduncoli muniti
di ala, avvolti da un tubo verde
Corylus avellana L.
Il nocciolo è una specie europea con tendenza subatlantico-
submediterranea presente in tutta Italia dalla fascia submediterranea a
quella montana. È diffuso in tutta la nostra regione sino alla fascia
montana; in Carso è comune solo nei boschi di dolina e nei loro mantelli, in
cui è spesso dominante. Cresce nelle radure e nei mantelli di boschi di
latifoglie decidue, su suoli limoso-argillosi profondi, freschi, umiferi, ricchi
in basi e composti azotati. Le qualità alimentari della nocciola sono note fin
dall'antichità: sono un alimento energetico di grande valore e una preziosa
fonte di vitamine e minerali. L'industria dolciaria utilizza la farina di
nocciole per la produzione di nocciolati, torroni e pasta di gianduia (creata
quando Napoleone bloccò l'importazione delle spezie e si verificò una
penuria di cacao). L'alta capacità pollonifera ha favorito la coltivazione
come pianta ornamentale e da frutto. Il legno, ottimo combustibile, è
utilizzato anche per palerie. Il nome generico deriva dal greco 'koris'
(elmo), e allude alla forma dell'involucro erbaceo che ricopre la nocciola; il
nome specifico deriva da Avella, un centro campano nella provincia di
Avellino, noto fin dai tempi dei Romani per la produzione di nocciole.
Forma biologica: fanerofita cespitosa. Periodo di fioritura: marzo-aprile.
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Alberi più alti di 4 m a maturità. Frutti su lunghi
penduncoli muniti di un'ala, non avvolti da un tubo verde
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Pagina inferiore della foglia con ciuffi di peli ferruginei alla biforcazione dei nervi.
Frutto subsferico, con coste indistinte
Tilia cordata Mill.
Il tiglio selvatico è un albero europeo presente in tutte le regioni dell'Italia
continentale salvo che in Puglia e forse in Umbria. Nella nostra regione è
diffuso dalla costa alla fascia montana, con ampie lacune nella bassa
pianura; in Carso è spesso coltivato nei villaggi presso le chiese, ma non è
raro anche allo stato spontaneo. Cresce nei boschi freschi di latifoglie
decidue su suoli limoso-argillosi profondi, ricchi in basi, spesso alla base di
pendii esposti a nord. I fiori e le brattee sono usati in erboristeria per la
preparazione di tisane calmanti ed emollienti. Oggi i tigli (spesso in varietà
ibridogene) riempiono gli spazi di verde ritagliati nelle nostre città, poiché
resistono bene all'inquinamento atmosferico. I Romani utilizzavano la
corteccia, tagliata in strisce, seccata e successivamente macerata, per
ricavarne delle fibre usate nella fabbricazione di corde, tessuti e nella
preparazione delle 'vincula tiliae', bende per fasciare le ferite. È una specie
molto longeva, che può vivere anche più di 1000 anni. Il nome generico,
già in uso presso i Romani, deriva dal greco 'ptilon' (ala), in riferimento alla
brattea del peduncolo fruttifero che funge da ala durante la disseminazione
facilitata dal vento; quello specifico significa 'cuoriforme' ed allude alla
forma delle foglie. Forma biologica: fanerofita cespitosa/fanerofita scaposa.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
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Pagina inferiore della foglia con ciuffi di peli biancastri alla biforcazione dei nervi.
Frutto con 5 coste longitudinali
Tilia platyphyllos Scop. s.l.