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inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di
monitoraggio, contenimento o eradicazione in Lombardia, ed è segnalata
come naturalizzata in Italia centro-settentrionale (salvo in Umbria),
Abruzzo e Campania, dal livello del mare ai 600 m circa. Seppur
decorative, le bacche non sono commestibili, in quanto contengono
glucosidi tossici per l’uomo. Al Castello Sforzesco si può osservare sulle
mura della sommità del Rivellino, lato strada. Il genere è dedicato al
botanico tedesco Adam Lonitzer (1528-1586), latinizzato in Lonicerus,
mentre l’epiteto specifico allude al Giappone in quanto la pianta usata per
la descrizione originale proveniva da quel paese. Forma biologica:
fanerofita lianosa. Periodo di fioritura: maggio-settembre.
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Foglie composte (divise in foglioline completamente
separate tra loro)
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Foglie non composte
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Foglie palmato-composte
Aesculus hippocastanum L.
L’ippocastano è un albero ornamentale di notevole prestanza (può infatti
raggiungere i 30 m di altezza), originario di un’area ristretta della
penisola balcanica. Fu introdotto nel 1576 da Charles de L’Écluse
(Clusius) nei giardini imperiali di Vienna e da qui, a distanza di tempo
(sec. XVIII-XIX), venne distribuito attraverso i semi in tutto il territorio
dell’Impero Austro-Ungarico; per tale motivo la specie risulta
tradizionalmente impiegata soprattutto nell’Italia settentrionale. È
coltivato in viali, parchi e giardini per la sua fioritura e per l’ombra che
offre, a volte comparendo subspontaneo nei boschi termofili della fascia
collinare. L’epiteto specifico deriva dal greco “híppos” (cavallo) e
“kástanon” (castagna), per l’aspetto dei frutti a forma di grossi ricci a
spine deboli e fragili contenenti grossi semi simili a castagne, utilizzati in
Oriente come alimento per i cavalli. Bisogna fare attenzione in quanto i
semi, velenosi per effetto dei saponosidi ivi contenuti, vengono talvolta
consumati per errore perché scambiati per castagne o ritenuti
commestibili come queste ultime. La pianta è poi usata a scopo
farmaceutico (antiemorroidario), cosmetico e tintorio; i semi, schiacciati e
pestati, erano impiegati come sapone, specialmente in tempo di guerra. Le
alberature sono oggi attaccate da un lepidottero (
Cameraria ohridella
)
che causa il precoce appassimento delle foglie. Il nome generico era già in
uso presso i Romani (Virgilio), che però con esso designavano una
quercia. Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: aprile-
maggio.
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Foglie pennato-composte
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Basi dei piccioli delle 2 foglie opposte contigue. Nervature laterali delle foglioline
raggiungenti il margine. Frutti appaiati
Acer negundo L.
L’acero negundo è originario del settore orientale del Nordamerica,
importato in Europa alla fine del ‘600 e segnalato per la prima volta in
Italia nel 1780. È un albero a rapido accrescimento e vive fino a circa 150
anni, viene spesso coltivato a scopo ornamentale, in diverse cultivar,
alcune a foglie variegate. Spesso compare allo stato spontaneo,
comportandosi come una pericolosa aliena invasiva avvantaggiata dal
possedere frutti alati che il vento disperde con grande facilità; mostra una
decisa tendenza a insediarsi in ambienti abbandonati e umidi. Modifica
sensibilmente il paesaggio naturale e riduce la biodiversità delle cenosi
boschive, soprattutto in ambiente ripariale; ha esigenze ecologiche
identiche a quelle di diverse latifoglie autoctone dei suoli freschi,
particolarmente diffusi nelle aree alluvionali, dove cresce velocemente e
fruttifica in abbondanza. È specie inclusa nella lista nera delle specie
alloctone vegetali in Lombardia ed è inoltre inserita tra le specie esotiche
a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità. In
Italia è diffuso soprattutto al Nord e al Centro ed è comune anche nella
Pianura Padana. Dalla concentrazione della linfa, nella sua area d’origine,
si produce una sostanza zuccherina d’uso alimentare (sciroppo d’acero),